sabato 27 dicembre 2008

Il libro del mese: Lolita di Nabokov

"Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta. Era Lo, semplicemente Lo la mattina, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita".

Recentemente ho letto "Lolita" di Vladimir Nabokov.
Nabokov è geniale nella rappresentazione di Humbert Humbert, il protagonista negativo del libro, colui che concupisce Lolita: non ci troviamo infatti di fronte al classico maniaco sessuale, per di più pedofilo, bensì a un intellettuale, a un'anima sensibile e tormentata. Ad uno che scrive, che legge. E che adora le ragazzine tra gli 11 e i 13; mentre è incapace di amare una donna.
Il quadro clinico è facilmente determinabile. Ma quello che in realtà sconvolge nella storia è la banalità dell'orrore che accade. Rappresentare il male, infatti, è difficile, perché ogni retorica è dietro l'angolo. Ma quando il male è invece ben rappresentato? Quando appare banale, ossia quotidiano, "normale", come qualcosa che si mimetizza bene nella società. Nabokov tratteggia la perversione di H. H. come una specie di malattia asintomatica. E come qualcosa che gli dà comunque la felicità.
Quando muore la mamma di Lolita, cioè la donna che H.H. ha sposato solo per stare vicino alla ninfetta, il destino si mostra benevolo con il protagonista. Egli sogna da tempo di poter occuparsi di Lolita e l'idea di uccidere la madre di lei più volte lo ha attraversato. Ma come molti maniaci sessuali egli è un impotente: se non nel fisico, nella psiche. E non ucciderà la donna. Ma un incidente casuale in cui la donna perirà, darà a H.H. la possibilità di prendersi cura di Lolita, portandola in giro per l'America spacciandosi per suo padre.
Il destino è proprio benevolo con H.H. Perché, in un certo modo, è Lolita che lo bacia la prima volta che fanno l'amore in albergo. E H.H. comincia a capire che la "ninfetta" non è più tale, perché ha imparato proprio quell'estate, in campeggio, a fare certe cose.
L'odissea continua e Nabokov aggiunge alla storia della perversione sessuale una specie di spy story: c'è un uomo, un artista, Quilty, che segue la coppia per l'America. Alla fine sarà lui a portare via Lolita a H.H., ma poi la ragazza sposerà un ragazzo normale. Però H.H. ucciderà Quilty. H. H. scoprirà la propria impotenza, scoprirà che la ninfetta è stata in grado di gabbarlo, sotto ai suoi occhi. Infine, morirà in carcere: e tale epilogo appare inevitabile ai lettori, come fosse un segno di giustizia divina. Invece non è così. In fondo H.H. è in carcere per l'omicidio di Quilty...
Il romanzo di Nabokov, dunque, è un capolavoro per tante ragioni: perché mette alla berlina il moralismo e la sessuofobia dell'America del dopoguerra; perché racconta la pulsione che ribolle nel sottosuolo di tanti uomini, benché inespressa; perché mette a nudo la facilità con cui il male si insinua quando non ci sono i giusti anticorpi; perché, infine, ci presenta la storia di un malvagio che, oltre che fare il male, lo subisce. E che forse ama davvero Lolita. Egli è un uomo in preda ad una mostruosa pulsione pedofila e incestuosa. Ma muore senza rendersi conto forse della sua abiezione, al cospetto di una società silente e inerte. Infatti, chi è che gli porta via Lolita? Non certo la polizia, o l'assistenza sociale: ma un artista dedito all'alcol, alle orge, anch'egli amante delle ninfette.
Lolita alla fine ne esce bene perché vittima per antonomasia. Ma la sua "provocante" condotta dovette sembrare scandalosa ai benpensanti americani dell'epoca, alle loro figlie in apparenza tutte boccoli, trecce e caramelle. Oggi Lolita sarebbe ugualmente scandalosa? Non so, forse no, forse apparirebbe troppo timida.

sabato 20 dicembre 2008

Il silenzio è d'oro: Eluana e il suo destino

Un padre chiede il silenzio sulla sorte tragica della propria figlia.
Anche io vorrei rispettare questo padre. Ma due parole vanno dette su una vicenda che sta mostrando l'arretratezza morale e culturale di questo paese.
Una persona, durante la propria vita, esprime, nel pieno possesso delle proprie facoltà, la volontà di non essere mantenuta in vita qualora un incidente la riducesse in uno stato vegetativo, anche se non esiste in Italia il testamento biologico (qui c'è l'appello).
Poi questa persona ha un incidente grave: ben presto entra in coma irreversibile e in stato vegetativo persistente. Non sente più nulla, non può più amare, odiare, né sorridere volontariamente.
Il padre, dopo un po' di tempo, decide che va rispettata la volontà della figlia che non avrebbe mai accettato di vivere in quella maniera. E comincia un complesso iter, anche di carattere giudiziario, perché la figlia non ha lasciato scritto di proprio pugno le proprie volontà.
Nel 2007 la Corte di Appello di Milano riconosce l'autenticità delle volontà espresse dalla ragazza: non solo i genitori, infatti, testimoniano di aver sentito queste volontà, ma lo fanno anche i suoi amici, le persone che le volevano bene. È ora possibile che la persona smetta di "vivere" in quel modo e possa "morire" in pace.
In un paese normale, serio, la vicenda finirebbe lì. In Italia no: il mondo cattolico insorge, dimostrando un attaccamento inaspettato al corpo, alle sue funzioni biologiche, fregandosene dell'anima e della spiritualità. Addirittura, cosa mai vista, il Parlamento (dove politici nani e privi di spessore intellettuale sono proni, per convenienza, al papa), interviene per bloccare l'iter!
Poi, la Corte di Cassazione conferma la necessità di agire in conformità della volontà della ragazza. Finalmente, sembra, calerà il silenzio sul dolore dei familiari, i quali potranno accompagnare la propria figlia nel suo abbandono del mondo. Ma le associazioni cattoliche se ne fregano della libertà personale, del dolore privato, della Costituzione: sbraitano contro la "pena di morte" decisa dalla Cassazione. In realtà, non stanno conducendo una battaglia etica, ma usano il corpo senza "pneuma" di questa ragazza e il dolore dei familiari come una clava per imporre la propria weltanschauung e per stabilire la propria egemonia culturale sul paese.
Non giungono inattese queste reazioni, ma si pensa che l'iter andrà avanti, perché si tratta di eseguire una sentenza. Naturalmente non succede: un ministro, Sacconi, dirama una circolare alle strutture sanitarie per metterle in guardia dal sospendere operazioni di nutrimenti e idratazione... Come se la Corte di Cassazione non contasse nulla, come se le leggi fossero carta straccia... Per fortuna la persona, sembra, potrà raggiungere in pace il proprio destino. Copriamo di silenzio la vergogna di questo paese.

venerdì 19 dicembre 2008

Poesia

Nella vallata

Una biscia sull’asfalto bagnato.
Schiacciata da un piede, da una ruota:
hai volto gli occhi dall’altra parte,
quasi un presagio funesto.
Si sentiva il soffrire della vita
percorrere impalpabile la vallata:
nella foglia che agonizzava,
nel ramo troncato dal vento,
nell’uccello sconfitto in amore,
che gridava, impotente, vendetta,
nella biscia che non volesti guardare.

Per cominciare

Un benvenuto a chi mai leggerà queste pagine... il titolo è eloquente, ma due parole non sono inutili. "Poesia" e "scrittura" coincidono spesso, ma non sempre. Sono le due forme che io utilizzo per esprimere quello che vive in me e che penso possa interessare agli altri... E lo faccio sia grazie ai versi sia, ultimamente, grazie alla prosa...
Perché fare poesia non significa solo mettere assieme frasi a metà o inventare rime ingegnose; al contempo, la scrittura non vive nel guazzabuglio di parole e immagini, bensì nella lucidità dell'esposizione e delle cose da dire.
E poi, questo blog non vuole essere solo dedicato a ciò che scrivo o a ciò che leggo; cercherà anche di parlare di quello che accade nella società, nei limiti delle mie conoscenze, giovandosi del contributo di chi vorrà intervenire... per questo si chiama "Poesia e scrittura"
"Di ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere", diceva il filosofo... e allora in un mondo in cui siamo soffocati da parole e immagini che vengono dal vuoto e che vanno verso il vuoto, ci vuole una effettiva educazione al silenzio. Ovvero, all'uso misurato delle parole e delle immagini...

IL PICCOLO MONDO ANTICO DEL GENERALE VANNACCI

  Il libro di Roberto Vannacci è a metà strada tra un pamphlet/saggio e un manifesto politico e affronta molti temi: ambiente, economia, fam...