lunedì 26 gennaio 2009

Le parole alla fine (Giuseppe Barreca)

Mi permetto di parlare di questo mio romanzo. Ho cominciato a scriverlo nel 2002 e solo oggi vede la luce, grazie a Liberodiscrivere, un coraggioso editore genovese che non chiede soldi agli autori (e nel panorama della piccola editoria italiana è una cosa rara).
L’opera racconta la vicenda di due ragazzi “normali”, Andrea e Francesca, e delle loro vite “normali”. Si tratta della narrazione del loro nuovo incontro, dopo che si sono lasciato alcuni mesi prima, avendo compreso di non poter stare assieme. Andrea è un ragazzo sensibile, ma che talvolta tende a nascondersi agli altri, a chiudersi in sé: desidererebbe tornare con Francesca, sebbene nel frattempo intreccia altre relazioni, tutte superficiali. Dal canto suo Francesca, una donna spesso incapace di esprimere i propri sentimenti, dopo aver lasciato Andrea, frequenta un loro comune ex amico, Giorgio.
Ad un certo punto però Andrea e Francesca si rivedono casualmente: nonostante la resistenza della ragazza, Andrea riesce ad ottenere un appuntamento per spiegarle alcune cose. Francesca, parlando con il ragazzo, si accorge di volergli ancora bene, ma teme che, tornando con lui, possano ripresentarsi i problemi dell’anno prima: l’incostanza di Andrea, la sua abulia, l’incapacità di mostrasti autentico e spontaneo, ossia quel che la ragazza definisce “gelosia di se stesso”.
Nel frattempo, Francesca lascia Giorgio, il quale ha anche un incidente con la motocicletta e rimane ferito. Alla fine, dopo una giornata trascorsa sul lago con altri amici, Francesca “cede” ad Andrea, rassicurata dall’atteggiamento affettuoso del ragazzo.
La ripresa della storia tra Andrea e Francesca, però, non restituisce serenità ai due; è soprattutto la ragazza a realizzare, gradualmente, che Andrea appare dolce e affettuoso solo perché vuole dimostrarle di essere un altro uomo. Al fondo, però, egli è ancora incapace di essere se stesso, di mostrarsi autenticamente, di esprimere senza maschere le sue inquietudini e le sue paure. E allora si chiude in sé, non parla e Francesca ne soffre.
Dopo tre mesi, Francesca accetta un appuntamento con il suo ex ragazzo, Giorgio, ormai guarito dall’incidente e fidanzato con un’altra persona. Giorgio è offeso per il fatto che Francesca sia tornata con Andrea, ma le ha detto che vuole rivederla per fare pace e per tornare buoni amici. In realtà, alla fine dell’incontro, Giorgio tenta di baciare Francesca. La ragazza teme una violenza, ma alla fine fugge via terrorizzata. Siamo quasi alla fine del romanzo… non è giusto però svelare la conclusione della storia: quando Andrea saprà della violenza di Giorgio, molte cose diventeranno più chiare al lettore…

martedì 20 gennaio 2009

Il significato della libertà è che un uomo, il cui padre 60 anni fa non sarebbe stato neanche servito nei ristoranti, è diventato presidente degli Usa

Oggi Barack Obama ha giurato, facendo un discorso ponderato e serio. Seguendo la diretta della cerimonia, sono stato colpito dal senso di unità nazionale che essa trasmetteva. Gli Stati Uniti dimostrano, in questo modo, di essere soprattutto una "nazione" e non una "patria". La patria spesso evoca qualcosa di retorico, vuoto e tetro; la nazione, invece, è un concetto politico antico ma che sa rinnovarsi e che si rivela fertile anche oggi, quando è depurato del suo figlio "sbagliato", il nazionalismo. Vedere un uomo di colore che giura come Presidente americano è qualcosa che fino a pochi anni (o mesi) fa, non molti avrebbero immaginato. E questo dimostra la grandezza dell'America, di un paese grande nel bene e nel male. Un paese pieno di contraddizioni, tacciato di imperialismo e cinismo politico (talvolta giustamente), eppure un paese che rappresenta la più antica e solida democrazia mondiale, quello in cui, a fronte delle spaventose ineguaglianze sociali, un uomo di colore può diventare presidente. E la folla che oggi acclamava Obama non era di carta, né era una folla prezzolata. No, erano americani che, nel rito privo di retorica della cerimonia, riconoscevano di possedere un'identità comune.
Domani queste persone torneranno a dividersi, a litigare, a ignorarsi, a patire il freddo o a galleggiare nel lusso; eppure, apparivano una nazione orgogliosa di sé, del fatto che un uomo di colore, chiamato per di più Hussein, sia stato eletto presidente.
Naturalmente, non mancano in America i patrioti deteriori; i razzisti, i nazionalisti, i fanatici di ogni credo e colore. Gli Stati Uniti sono il paese della libertà, ma anche di Guantanamo; il paese che ha liberato l'Europa dal nazifascismo, ma anche la nazione che ha favorito Pinochet in Cile... un paese che può dare lezioni di democrazia, ma nel quale esiste ancora la pena di morte. Il paese di Obama, ma anche del clan dei Bush.
Un grande paese al quale guardare non con l'acritico atteggiamento di devozione, come certi nani politici italiani fanno; ma che va osservato come un pilastro del mondo che sa essere democratico e che deve continuare ad esserlo.

domenica 11 gennaio 2009

10 anni senza De André

Vorrei ricordare questo artista eccelso, poeta, musicista... Ma so che cadrei nella retorica, nella tremenda banalità degli anniversari. Lui stesso ne riderebbe. E allora, riporto il testo di una delle sue canzoni che più amo, "Inverno" (qui la si può ascoltare), una canzone presente nell'album "Tutti morimmo a stento", uscito nel 1968. Mi piace ricordarlo così, in questi freddi giorni invernali, a meditare sulla vita e sulla morte. Non tanto sulla morte fisica, ma su quella spirituale, su chi vive senza saperlo, su chi è morto alla vita e non se ne è ancora accorto.

INVERNO

Sale la nebbia sui prati bianchi
come un cipresso nei camposanti
un campanile che non sembra vero
segna il confine fra la terra e il cielo.

Ma tu che vai, ma tu rimani
vedrai la neve se ne andrà domani
rifioriranno le gioie passate
col vento caldo di un'altra estate.

Anche la luce sembra morire
nell'ombra incerta di un divenire
dove anche l'alba diventa sera
e i volti sembrano teschi di cera.

Ma tu che vai, ma tu rimani
anche la neve morirà domani
l'amore ancora ci passerà vicino
nella stagione del biancospino.

La terra stanca sotto la neve
dorme il silenzio di un sonno greve
l'inverno raccoglie la sua fatica
di mille secoli, da un'alba antica.

Ma tu che stai, perché rimani?
Un altro inverno tornerà domani
cadrà altra neve a consolare i campi
cadrà altra neve sui camposanti.

venerdì 9 gennaio 2009

I bambini di Gaza e l'antisemitismo

Scrivere di quello che sta accadendo in questi giorni tra Israele e Palestina è difficile; perché è quasi impossibile separare i sentimenti, le emozioni, dalle valutazioni politiche oggettive... È altresì arduo riuscire ad affermare qualcosa di originale e di non scontato.
Il problema è che, soprattutto in Italia, è impossibile discutere della questione senza essere tacciati di essere estremisti e antisemiti. Questo è il ricatto morale inaccettabile che è profondamente antidemocratico, perché, al fondo, vuole impedire ogni discussione.
Se si critica Israele per la reazione sproporzionata che ha attuato contro i lanci di missili di Hamas, non lo si fa perché antisemiti, ma perché si hanno a cuore la pace e si piange per i bimbi di Gaza. Che muoiono senza colpa, in un massacro indegno, come sostiene un autorevole porporato.
Chi attacca Israele lo fa in virtù delle uccisioni e dell'invasione di Gaza, non in nome di un odio verso gli ebrei che non deve avere posto nella cultura di oggi...
È giusto invece criticare il "governo" di Israele, la condotta dell'esercito, e bisogna farlo senza paura di essere tacciati di antisemitismo. E queste critiche vanno condotte in nome della pace e della possibilità che nella regione ci sia una convivenza pacifica.
Speranza sempre più fioca e utopica, perché negli ultimi anni la politica di Bush, quella dei leader israeliani, ma anche la condotta di Hamas, sono stati elementi che hanno lavorato in direzione contraria alla pace... perché Hamas deve riconoscere l'esistenza di Israele e non lanciare più razzi, altrimenti non si va da nessuna parte. E però, va anche riconosciuto che Hamas in Palestina ha un grande seguito, come dimostrano i risultati elettorali. E non è possibile invocare elezioni libere in Palestina e poi lamentarsi se in queste libere elezioni ha vinto Hamas...
Questa offensiva israeliana, che mira a distruggere i territori palestinesi, non fa altro che alimentare la popolarità di Hamas, trasformando i suoi capi in martiri... Cioè ottenendo l'effetto contrario.
Insomma, alla fine ho parlato della questione. Ma soprattutto ci tenevo a dire che non è possibile tacciare di antisemitismo chi critica Israele (come non è anti-americano chi critica di Bush). Al contempo, un appoggio acritico a Israele o ai palestinesi mi pare altrettanto miope, perché non si sta svolgendo una partita di calcio.

IL PICCOLO MONDO ANTICO DEL GENERALE VANNACCI

  Il libro di Roberto Vannacci è a metà strada tra un pamphlet/saggio e un manifesto politico e affronta molti temi: ambiente, economia, fam...