lunedì 13 luglio 2009

La carovana delle malinconie/3-4

Ecco, le ultime due stanze del componimento. Si reagisce alla noia, ci si scuote, si percorre una strada. Ma è la stessa di prima. Come un Prometeo senza catene, ma condannato a non fare che pochi metri. I treni passano, la vita riprende il proprio corso abituale senza curarsi di nulla. Sono solo i sogni malati di chi pensa troppo? Banalmente è così. Forse. Ma...
"Se mi avessero domandato che cosa era l'esistenza, avrei risposto in buona fede che non era niente, semplicemente una forma vuota che veniva ad aggiungersi alle cose dal di fuori, senza nulla cambiare alla loro natura". La nausea, ovvio, di Sartre...
Ecco l'epilogo:

III) Dopo il passaggio
Mi alzo in piedi, solitario percorro il marciapiede solitario,
e le ore non passano più.
Nemmeno le angosce del quotidiano lo fanno:
le sento friggere sui fili dell’alta tensione,
ma non sanno morire, cattive.
Lento come le forze che tornano,
al mattino dopo il sonno,
un treno merci arriva, e spezza
la carovana della malinconie.
Le pagine bianche d’un libro
sono una compagnia che non scalda.
Nemmeno una donna, forse, basterebbe stanotte
per tenere a bada cervello e cuore,
in questa stazione rocciosa
che non è un letto, né un materasso di amarezze,
e nemmeno un sogno per psicanalista.

IV) Quel che resta della bile nera

Il treno merci è passato oltre, faticoso:
lontano il segnale è tornato rosso.
E rosse le mie guance, le mani, le nocche:
come quel taccuino che vidi a terra,
nell’atrio di un’altra stazione deserta:
piangeva parole che ho dimenticato,
da tempo.

giovedì 9 luglio 2009

La carovana delle malinconie/2

Sempre sul viaggio delle malinconie, che non sono sempre cose brutte, anzi.
L'altro giorno pubblicai la prima stanza della poesia. La stanza s'intitolava: Prima del passaggio. M'immaginavo steso su una panchina della stazione. A vedere noie.
Quella panchina immaginaria che mi ospita, in una stazione deserta, è forse una specie di laboratorio scientifico, dal quale osservo la noia crescere e decrescere.
Mi affido, per questa secondo stanza della poesia, a un'altra auctoritas, senza ovviamente la pretesa di eguagliarla. Ne La noia (1960) Alberto Moravia scrive: "Il sentimento della noia nasce in me da quello dell'assurdità di una realtà... insufficiente, ossia incapace di persuadermi della propria effettiva esistenza".
Eh sì, anche se sembra una traduzione da Sartre. Invece più avanti Moravia è più moraviano: "la noia, oltre alla capacità di uscire da me stesso, è la consapevolezza teorica che potrei forse uscirne, grazie a non so quale miracolo".
Ecco, ora le mie parole:

II) Durante il passaggio
M’illudo di possedere ogni cosa stanotte:
il buio, i bagagli di passeggeri invisibili,
la stazione che desidera treni audaci
in movimento verso di lei,
e la sala d’aspetto che da lontano
m’invita al caldo con l’occhio languido.
Ma quando finirà tutto questo?
Non so più distinguere tra loro
il primo e l’ultimo treno del giorno.
Il fanale di coda da quello di testa.
Solamente quando la noia entra nella mia bocca
i denti smettono di tremare; ho sonno, forse,
o forse non l’ho più, sono vivo perché stanco,
perché non ho chiuso gli occhi di fronte al mendicante
che dorme con me sotto questa panchina

lunedì 6 luglio 2009

La carovana delle malinconie

Si viaggia per divertimento, per dovere, per sfuggire a un dolore, o per raggiungerlo, nostra malgrado; per raggiungere un amore, o per sfuggirlo, sempre nostro malgrado. Si viaggia perché non si ha niente da fare, per assassinare il tempo; oppure si viaggia perché si ha troppo da fare. Perché si è inquieti, tristi, soli, o perché si cerca il proprio sé o quello altrui.
La noia rimane sullo sfondo, come una presenza a volte benefica, spesso molesta; da scacciare. Il tempo che non passa mai, il "tempo lungo" fa paura, va "ammazzato", come si dice.
La noia, il grande terrore dell'uomo d'oggi, che spesso quando non ha nulla da fare è perduto. Perché magari teme di vedere la propria anima.
Ma diceva Leopardi: "la noia [è] della natura dell'aria: la quale riempie tutti gli spazi interposti alle altre cose materiali, e tutti i vani contenuti in ciascuna di loro; e donde un corpo si parte, e altro non gli sottentra, quivi ella succede immediatamente" (Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare).
Tempo fa, alla stazione, mi annoiai per un po'; guardai i soliti due o tre diseredati che avevano dormito lì. Guardai le scritte dei ragazzi sui pali di cemento della pensilina. E m'immaginai d'essere solo, sdraiato su una panchina, a guardare i treni passare, senza avere nulla da fare.
Mi è nata allora una poesia. Un vizio antico. La prima "stanza" del componimento è la seguente (il seguito forse un'altra volta):

I) Prima del passaggio
Una riflessione che non va giù,
e galleggia in gola.
La stazione deserta, spenta, inerte
e la noia distinta dell’ignoto
bacia i semafori verdi.
Ma i treni non sanno più muoversi, come me.
E allora io adagio questo mio tormentato presente
su una panchina di pietra, orlata di cicche annerite;
dormo tra una scritta ignota che reclama un amore,
e tra un’altra scritta, più in basso, che ricorda una data.
Ho lasciato il cuscino di là,
tra gli oggetti smarriti non reclamanti.
Non è stanotte come il sonno di casa:
il letto è una folla di dolori banali.
È troppo facile scrivere versi incostanti
osservando due binari infiniti
che la notte lucida illumina di angosce tiepide.
Si alzano le cartacce, ma non le temo,
e nemmeno mi spaventa la polvere:
solo le luci artificiali della città
incidono amarezze nella mia carne.

Maggio 2009

IL PICCOLO MONDO ANTICO DEL GENERALE VANNACCI

  Il libro di Roberto Vannacci è a metà strada tra un pamphlet/saggio e un manifesto politico e affronta molti temi: ambiente, economia, fam...