lunedì 24 giugno 2013

UN’APOCALISSE IN MINORE





I
Gettati sulla terra in un’esistenza che galleggia
siamo bolle pigre che scavano la melma verminosa
che la pioggia smuove il sole pietrifica rendendola
mefitica e velenosa al cervello e al piede.
La sensazione svuota-stomaco che l’essere sia tutto qui
avvolto in un’ombra che si nutre di luce
è incentivo a dimenticare ogni cosa
a immergersi nel lago delle sensazioni innominate
per anestetizzare i sensi
per vergognarsi di essere razionali.
La melma allora si fa più avvolgente si affonda
le scarpe marroni come il cuore
dileggiato da batteri virus invertebrati e scarafaggi
più intelligenti dell’uomo.

II
Si spengono giorni e giorni sulla carta sporca
di scarafaggi arrosto e oleosi della panetteria dei vecchi portici.
La nebbia ondeggia gialla e lenta
scaraffaggiando si muove nella via
tra le vecchie finestre del pensiero unico
che s’aprono di notte e di giorno si bloccano
fino ad annegare di sudore qualsiasi sospiro.
Due uomini si baciano dietro una colonna
il buio testimonia il loro peccato d’un tempo
una donna invece aspetta fremente il bacio d’addio
del primo uomo che passa.
La sera d’inverno scende dall’alto
s’appoggia sui tetti e sui divani
s’aggiusta seducente i cuscini
si lascia amare come valletta esperta
e fa l’amore sgranocchiando noccioline.

III
Poi la sera s’alza fregandosene dell’impotenza emotiva
e si metamorforizza in un mattino scarafaggesco
che schiaccia le teste degli amanti occasionali senza soldi
mentre i portici illuminati a giorno dal giorno
trasmettono il vociare cagnaresco di studenti e studentesse imberbi
che non sanno dove andare.
La donna aspetta ancora il bacio d’addio del primo che passa
ma ora il rossetto stinge: un occhio piange e l’altro ride
poi cambiano i ruoli e la donna è scarafaggio anche lei
o decaduta eterea delle sere d’inverno della bassa padana
quando la nebbia scuote gli istinti maschili
e nessuno sa più amare la solita donna di tutti i giorni
ma tutti bramano la prima o la seconda che passa
sotto i portici rigurgitanti scarafaggi infreddoliti
e bestemmie sigillate nei bicchieri di vino.

IV  
Saltano questi insetti attardati tra i portici freddissimi
delle mattine gelate sul selciato di chiese deserte
dove lo scalpiccio di piedi e scarpe
schiaccia le teste di scarafaggi arroganti che non sanno
cedere il passo nemmeno alle vecchie donne.
La gelatina dell’insetto si infila tra le fughe
e la piazza è una pista di pattinaggio gialla
dove la disperazione quotidiana danza ogni ora
e quelli che amano non trovano più l’oggetto d’amore
mettono il broncio mentre scarafagge audaci li accarezzano
fino alla fine del giorno e della notte
quella notte, mi pare dicesse Celine,
nera come il buco del culo o quasi.

VII
Stato di calamità innaturale nella bassa padana
e le balle di fieno divengono rifugio estivo
del parlamento scarafaggesco che incatena le coscienze
di ex liberi pensatori che squittiscono idee
e saggi filosofici da boudoir.
Le ore sono gialle tra le pannocchie acerbe
mentre lo scarafaggio despota governa la città
e le carogne democratiche putriscono sotto i portici
dove scarafaggi senza spirito democratico
tengono happening cantando vino e chitarre
l’amore libero le canne e leggono Erich Fromm.

VIII – Il cieco Tiresia
L’apocalisse alla fine è stata noiosa e deludente
e dopo secoli a ironizzare contro la Bibbia che non si capisce
e a chiedersi se mai succederà e perché ma figurati
sono cazzate di un popolo arretrato com’erano gli ebrei
cinquemila anni fa, l’abbiamo presa bene lì in basso
la fregatura. Senza accorgercene. A qualcuno piacque.
Le profezie alla Orwell non fanno paura
e le metamorfosi da uomo a insetto sono quotidiane
almeno così si blatera nei bar della sera
dove le vetrine pullulano di insetti morti,
rinsecchite e verdeggianti dadaiste forme di morte
rinsecchite come un vecchio con vizze mammelle
sempre tu Tiresia tra le scatole
a profetare scalogne ma ti vogliamo bene
perché il poeta ti amò e lo facciamo anche noi
tu donna e uomo assieme ogni momento.

“Quando mi accorgo che gli individui altro non sono che schizzi di saliva sputati dalla vita, e che la vita stessa non vale tanto di più rispetto alla materia, mi dirigo verso il primo bistrot con l’idea di non uscirne mai. E tuttavia le mille bottiglie che potrei scolarmi non sarebbero in grado di trasfondermi il gusto dell’Utopia, di quella credenza secondo cui qualcosa è ancora possibile” (Emil Cioran, 1911-1995).
Le parole di Cioran mi hanno fatto venire in mente il primo componimento. E poi, come associazione immediata, ho pensato all’Apocalisse di Giovanni, visto che in pianura è periodo di invasione di insetti; però l’ho resa volgare, perché il tempo attuale, decadente e misero, è un’apocalisse solo con la “a” minuscola. Per questo è un mondo che non perisce, ma vegeta in una notte senza fondo. Viaggio al termine della notte di Céline è stata la terza associazione, quando egli scrive, per esempio, “non sei altro che un vecchio lampione di ricordi all’angolo di una strada dove non passa già più quasi nessuno”. E ho immaginato che, di fronte a uomini anestetizzati e sconfitti, simpatici scarafaggi prendessero il potere, dimostrandosi più furbi degli umani. Ma il contatto con l’umano intacca anche l’etica semplice e spietata degli insetti, che sono sconfitti proprio perché umanizzati. Ho pensato naturalmente a Kafka, al Gregor Samsa che diventa un insetto eppure continua a sentire in sé un’anima umana. Sullo sfondo di tutto c’è The Waste Land di T. S. Eliot, ma solo una sua immagine opaca e prosaica, perché esiste una grandezza pure nell’affondare, e invece questo tempo non la possiede più. Tiresia (nel poema di Eliot è protagonista de Il sermone del fuoco ma si veda Ovidio, Metamorfosi, III 323 e sgg.) è forse la sola figura cui fare riferimento, e ascoltarlo significa non temere l’avvenire, ma solo la bassezza umana nella sua totalità, di cui egli era cosciente avendo vissuto, cieco, da uomo e da donna, e avendo in mano la tragica capacità di vedere quel che accadrà.

Giugno 2013 

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