venerdì 19 luglio 2013

UCCIDERLE NON È DIFFICILE E ALTRI VERSI




Ucciderle non è difficile: si aspetta l’attimo adatto
quando sdrucciolano sul bordo del lavabo
o scivolano sul tavolo imbandito di briciole
e si lascia andare un colpo secco di strofinaccio
intensamente feroce.
La mosca è allora stecchita.

Non si fece baciare. Era l’ideale moglie dimessa.
Fuori nevicava ma lei non si lavò subito i denti.
Non voleva più quel marito
anche se la camera aveva le pareti color pesca.
Come in un racconto di Joyce
gli disse che non amava lui
ma quell’altro morto giovane.
Poi si lavò i denti.

Seguire i passi di Leopardi
in una Recanati assassinata dal sole
bestemmiando contro l’estate duemilatre
e il mare Adriatico merdoso che poltriva laggiù.
Leopardi nella carne nel sudore nelle mani
che stringevano i Canti inseguendo un fantasma di poeta.
Diventare gobbi poeti noi figli di Monaldo
pessimisti cosmici e granita al caffè.

Mangiò tre pesciolini.
Avrebbe preferito una balena ma Moby Dick era in vacanza
il Pequod al museo della letteratura americana
e Achab vomitava vino nel mare.
Mangiò altri tre pesciolini
e Conrad cominciò a toccargli un braccio
invitandolo a navigare davvero
e a non giocare più con le barche nelle pozzanghere.
Ingurgitò gli ultimi tre pesciolini
ma aveva addosso un costume bianco
e Melville s’incazzò di brutto
perché lui la balena l’aveva vista per primo
ma era vecchio e non aveva più vent’anni.

©  Luglio 2013

venerdì 5 luglio 2013

UNA VITA MENO AGRA? L’IDEALISMO FOLLE DI LUCIANO BIANCIARDI



Luciano Bianciardi (Grosseto 1922-Milano 1971) anarchico, anti-sistema, inattuale, testardamente controcorrente, è un autore che divide, forse perché, negli anni segnati dalla presenza di due “chiese” (quella cattolica e quella comunista), non fu né prete in abito nero, né prete rosso (come lui definiva i comunisti). La sua storia è stata narrata nel libro di Pino Corrias, Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano, edito nel 1993 e di nuovo nel 2011. Questo libro ha contribuito a ridare fama a un autore che aveva intravisto con largo anticipo i guasti del consumismo e del miracolo economico italiano; li aveva individuati, un po' come Pasolini, ma in modo più confuso, meno consapevole. E, a differenza di Pasolini, invece di combatterli in trincea, dopo un effimera fase di notorietà dovuta proprio al successo de La vita agra, ne era stato sopraffatto, cercando un isolamento e riaffermando un’alterità che lo condurranno verso una dolorosa e volontaria emarginazione.
Dopo la guerra, la laurea in filosofia a Pisa e una vita come insegnante e poi bibliotecario a Grosseto (vita ordinaria, una moglie, due figli, un libro inchiesta scritto con Carlo Cassola, I minatori della Maremma, ma soprattutto un animo inquieto e progressivamente insoddisfatto della vita provinciale), nel 1954 (dopo la tragedia alla miniera di Ribolla) approda a Milano per lavorare alla neonata casa editrice Feltrinelli. L’incontro con la metropoli in selvaggia espansione lo sconvolge: ha una nuova donna, Maria Jatosti, e vive come un trauma l’incontro con una metropoli dove se uno cade per terra nessuno si ferma per soccorrerlo. Il lavoro alla Feltrinelli va male. Bianciardi viene licenziato, ma rimarrà come collaboratore estero, traducendo migliaia di pagine: egli e Maria passeranno anni a lavorare nei modi più disparati e disperati, scrivendo come forsennati. Nonostante le enormi difficoltà economiche (ha due focolari da mantenere), Bianciardi scrive molto, tra cui due libri, Il lavoro culturale (1957) e La vita agra (1962). È soprattutto in quest’ultimo (“storia della diseducazione sentimentale al tempo del miracolo economico”) che troviamo una disamina amarissima e ironica dei vizi peggiori del consumismo italiano e del carattere spersonalizzante e alienante di Milano, capitale economica d’Italia. Si tratta di un libro che io trovo geniale, preveggente. È un libro che gli dona una grande e breve notorietà (aiutata dall’omonimo film del 1964 diretto da Carlo Lizzani con Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli), oltre a un benessere economico, che lo sconvolge progressivamente, conducendolo verso un percorso inesorabile di autodistruzione. Luciano Bianciardi muore all’Ospedale San Carlo di Milano il 14 novembre 1971, ucciso dall’alcol e dalla solitudine.
In questo brano tratto da La vita agra, l'autore tratteggia un ideale di vita che egli definisce “neocristianesimo a sfondo disattivistico e copulatorio”; un ideale di vita  irrealizzabile, assurdo, folle:

Occorre che la gente impari a non muoversi, a non collaborare, a non produrre, a non farsi nascere bisogni nuovi e anzi rinunziare a quelli che ha. La rinunzia sarà graduale, iniziando coi meccanismi, che saranno aboliti tutti, dai più complicati ai più semplici, dal calcolatore elettronico allo schiaccianoci. Tutto ciò che ruota, articola, scivola, incastra, ingrana e sollecita sarà abbandonato. Poi eviteremo tutte le materie sintetiche, iniziando dalla cosiddetta plastica. Quindi sarà la volta dei metalli, dalle leghe pesanti e leggere giù giù fino al semplice ferro.
Né scamperà la carta. Eliminata carta e metallo non sarà più possibile la moneta e con essa l’economia di mercato, per fare posto a un’economia di tipo nuovo, non del baratto, ma del donativo. Ciascuno sarà ben lieto di donare al suo prossimo tutto quello che ha e cioè, considerando le cose dal punto di vista degli economisti d’oggi, quasi niente. Ma ricchissimo sarà il dono quotidiano di tutti a tutti nella valutazione nostra, nuova.
Saranno scomparse le attività quartarie, e anzitutto i grafici, i PRM, e i demodossologi. Spariranno quindi le attività terziarie, e poi anche le secondarie. Le attività del tipo primario -  coltivazione della terra - andranno man mano restringendosi, perché camperemo principalmente di frutti spontanei.
È ovvio che a questo si arriverà per gradi, e non senza arresti o inciampi. Agli inizi formeremo appena delle piccole comunità, isolette sparute in mezzo allo sciaguattare dell’attivismo, e gli attivisti ci guarderanno con sufficienza e dispregio. Per parte nostra, metteremo alla porta con estrema dolcezza i rappresentanti di commercio, gli assicuratori e i preti.
Avremo eletto per nostra dimora le zone meno abitate, cioè quelle che hanno clima migliore. A poco a poco vedremo la nostra isola crescere, collegarsi con altre isole fino a formare una fascia di territorio ininterrotto.
E un giorno saranno gli altri, gli altruisti, a ridursi in isola; poche decine di longobardi febbrili aggrappati a rotelle e volani, con gli occhi iniettati di sangue. Forse non riusciremo mai a vincerli alla nostra causa, e resteranno lì a correre in circolo, a firmarsi l’un con l’altro cambiali, a esigerne il pagamento. Ridotti così in pochi, man mano che i meno saldi muoiono d’infarto, formeranno un cerchio sempre più angusto e  rapido, fino a scomparire da sé.  
E noi lì staremo a guardare dall’esterno, sorridendo. Il lavoro così sarà per noi ridotto quasi a zero. Vivremo dei frutti spontanei della terra e di pochissima coltivazione. Saremo vegetariani, e ciascuno avrà gli arredi essenziali al vivere comodo, e cioè un letto. Il problema del tempo libero non si porrà più essendo la vita intera una continua distesa di tempo libero.
Scomparsi i metalli, gli uomini avranno barbe fluenti. Scomparse le diete dimagranti e i pregiudizi pseudoestetici, le donne saranno finalmente grasse.  Scomparsa la carta, non avremo né moneta né giornali né libri.  
Perciò, trasmettendosi le notizie di bocca in bocca, noi non sentiremo né le false né le superflue. Senza libri, la letteratura dovrà tramandarsi per tradizione orale, e la tradizione orale non potrà non scegliere i soli capolavori.
Vedremo automobili ferme per via, senza più carburante, e le abbandoneremo ai giochi dei bambini, ai quali però nessuno dovrà dire che cosa erano, a che cosa servivano quelle cose un tempo.
Ovunque cresceranno vigorose erbe e piante, in breve l’asfalto si tingerà tutto di verde, con immediato miglioramento del clima. Anche le zone umide e nebbiose diventeranno abitabili.
Gli animali domestici passeggeranno liberi e robusti in mezzo a noi, galline dromedari, pipistrelli, pecore eccetera.
Cessato ogni rumore metalmeccanico, suonerà dovunque la voce dell’uomo e della bestia.
Liberi da ogni altra cura, noi ci dedicheremo al bel canto, ai lunghi e pacati conversari, alle rappresentazioni mimiche e comiche improvvisate. Ciascuno diventerà maestro di queste arti.
Non essendovi mezzi meccanici di locomozione, ci sposteremo a dorso d’asino o a piedi, e questo favorirà l’irrobustimento dei corpi, con immediati vantaggi fisici ed estetici. Grandi, barbuti, eloquenti, gli uomini coltiveranno nobili passioni, quali l’amicizia e l’amore.
Non esistendo la famiglia, i rapporti sessuali saranno liberi, indiscriminati, ininterrotti e frequenti, anzi continui. Le donne spesso fecondate ingrasseranno ancora, e i bambini da loro nati saranno figli di tutti e profumeranno la terra.  Noi li vedremo vena su forti e chiari e li educheremo alle arti canore e vocali, alla conversazione, all’amicizia, all’amore e all’intercorso sessuale non appena siano in età a ciò idonea. Andateci piano ragazzi, che tanto ce n’è per tutti. 


IL PICCOLO MONDO ANTICO DEL GENERALE VANNACCI

  Il libro di Roberto Vannacci è a metà strada tra un pamphlet/saggio e un manifesto politico e affronta molti temi: ambiente, economia, fam...