Luciano Bianciardi (Grosseto 1922-Milano 1971) anarchico,
anti-sistema, inattuale, testardamente controcorrente, è un autore che divide,
forse perché, negli anni segnati dalla presenza di due “chiese” (quella
cattolica e quella comunista), non fu né prete in abito nero, né prete
rosso (come lui definiva i comunisti). La sua storia è stata narrata nel libro di
Pino Corrias, Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano, edito nel 1993 e di nuovo nel 2011. Questo libro ha contribuito a ridare
fama a un autore che aveva intravisto con largo anticipo i guasti del
consumismo e del miracolo economico italiano; li aveva individuati, un po' come
Pasolini, ma in modo più confuso, meno consapevole. E, a differenza di
Pasolini, invece di combatterli in trincea, dopo un effimera fase di notorietà dovuta proprio al successo de La vita agra
, ne era stato sopraffatto, cercando
un isolamento e riaffermando un’alterità che lo condurranno verso una dolorosa
e volontaria emarginazione.
Dopo la guerra, la laurea in filosofia a Pisa e una
vita come insegnante e poi bibliotecario a Grosseto (vita ordinaria, una
moglie, due figli, un libro inchiesta scritto con Carlo Cassola, I
minatori della Maremma, ma soprattutto un
animo inquieto e progressivamente insoddisfatto della vita provinciale), nel
1954 (dopo la tragedia alla miniera di Ribolla) approda a Milano per lavorare
alla neonata casa editrice Feltrinelli. L’incontro con la metropoli in
selvaggia espansione lo sconvolge: ha una nuova donna, Maria Jatosti, e vive
come un trauma l’incontro con una metropoli dove se uno cade per terra nessuno
si ferma per soccorrerlo. Il lavoro alla Feltrinelli va male. Bianciardi viene licenziato, ma rimarrà come collaboratore estero, traducendo migliaia di pagine: egli e Maria
passeranno anni a lavorare nei modi più disparati e disperati, scrivendo come
forsennati. Nonostante le enormi difficoltà
economiche (ha due focolari da mantenere), Bianciardi scrive molto, tra cui due
libri, Il lavoro culturale (1957) e La
vita agra (1962). È soprattutto in quest’ultimo
(“storia della diseducazione sentimentale al tempo del miracolo economico”) che
troviamo una disamina amarissima e ironica dei vizi peggiori del consumismo
italiano e del carattere spersonalizzante e alienante di Milano, capitale
economica d’Italia. Si tratta di un libro che io trovo geniale, preveggente. È un
libro che gli dona una grande e breve notorietà (aiutata dall’omonimo film del
1964 diretto da Carlo Lizzani con Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli), oltre a un benessere economico, che lo sconvolge progressivamente, conducendolo verso un percorso
inesorabile di autodistruzione. Luciano Bianciardi muore all’Ospedale San Carlo
di Milano il 14 novembre 1971, ucciso dall’alcol e dalla solitudine.
In questo brano tratto da La vita agra, l'autore tratteggia un ideale di vita che egli definisce “neocristianesimo a sfondo disattivistico
e copulatorio”; un ideale di vita irrealizzabile, assurdo, folle:
Occorre che la gente impari
a non muoversi, a non collaborare, a non produrre,
a non farsi nascere bisogni nuovi e anzi
rinunziare a quelli che ha. La rinunzia sarà graduale, iniziando coi meccanismi, che
saranno aboliti tutti, dai più complicati ai più semplici, dal calcolatore
elettronico allo schiaccianoci. Tutto ciò che ruota, articola, scivola,
incastra, ingrana e sollecita sarà abbandonato. Poi eviteremo tutte le materie
sintetiche, iniziando dalla cosiddetta plastica. Quindi sarà la volta dei
metalli, dalle leghe pesanti e leggere giù giù fino al semplice ferro.
Né scamperà la carta. Eliminata carta e
metallo non sarà più possibile la moneta e con essa l’economia di mercato, per
fare posto a un’economia di tipo nuovo, non del baratto, ma del donativo.
Ciascuno sarà ben lieto di donare al suo prossimo tutto quello che ha e cioè,
considerando le cose dal punto di vista degli economisti d’oggi, quasi niente.
Ma ricchissimo sarà il dono quotidiano di tutti a tutti nella valutazione
nostra, nuova.
Saranno scomparse le attività quartarie, e
anzitutto i grafici, i PRM, e i demodossologi. Spariranno quindi le attività
terziarie, e poi anche le secondarie. Le attività del tipo primario - coltivazione
della terra - andranno man mano restringendosi, perché camperemo principalmente
di frutti spontanei.
È ovvio che a questo si arriverà per gradi, e
non senza arresti o inciampi. Agli inizi formeremo appena delle piccole
comunità, isolette sparute in mezzo allo sciaguattare dell’attivismo, e gli
attivisti ci guarderanno con sufficienza e dispregio. Per parte nostra,
metteremo alla porta con estrema dolcezza i rappresentanti di commercio, gli
assicuratori e i preti.
Avremo eletto per nostra dimora le zone meno
abitate, cioè quelle che hanno clima migliore. A poco a poco vedremo la nostra
isola crescere, collegarsi con altre isole fino a formare una fascia di
territorio ininterrotto.
E un giorno saranno gli altri, gli altruisti,
a ridursi in isola; poche decine di longobardi febbrili aggrappati a rotelle e
volani, con gli occhi iniettati di sangue. Forse non riusciremo mai a vincerli
alla nostra causa, e resteranno lì a correre in circolo, a firmarsi l’un con
l’altro cambiali, a esigerne il pagamento. Ridotti così in pochi, man mano che
i meno saldi muoiono d’infarto, formeranno un cerchio sempre più angusto e rapido, fino a scomparire da sé.
E noi lì staremo a guardare dall’esterno,
sorridendo. Il lavoro così sarà per noi ridotto quasi a zero. Vivremo dei
frutti spontanei della terra e di pochissima coltivazione. Saremo vegetariani,
e ciascuno avrà gli arredi essenziali al vivere comodo, e cioè un letto. Il
problema del tempo libero non si porrà più essendo la vita intera una continua
distesa di tempo libero.
Scomparsi i
metalli, gli uomini avranno barbe fluenti. Scomparse le diete dimagranti e i
pregiudizi pseudoestetici, le donne saranno finalmente grasse. Scomparsa la carta, non avremo né moneta né
giornali né libri.
Perciò,
trasmettendosi le notizie di bocca in bocca, noi non sentiremo né le false né
le superflue. Senza libri, la letteratura dovrà tramandarsi per tradizione
orale, e la tradizione orale non potrà non scegliere i soli capolavori.
Vedremo
automobili ferme per via, senza più carburante, e le abbandoneremo ai giochi
dei bambini, ai quali però nessuno dovrà dire che cosa erano, a che cosa
servivano quelle cose un tempo.
Ovunque
cresceranno vigorose erbe e piante, in breve l’asfalto si tingerà tutto di verde,
con immediato miglioramento del clima. Anche le zone umide e nebbiose
diventeranno abitabili.
Gli animali domestici passeggeranno liberi e
robusti in mezzo a noi, galline dromedari, pipistrelli, pecore eccetera.
Cessato ogni rumore metalmeccanico, suonerà
dovunque la voce dell’uomo e della bestia.
Liberi da ogni altra cura, noi ci dedicheremo
al bel canto, ai lunghi e pacati conversari, alle rappresentazioni mimiche e
comiche improvvisate. Ciascuno diventerà maestro di queste arti.
Non essendovi mezzi meccanici di locomozione,
ci sposteremo a dorso d’asino o a piedi, e questo favorirà l’irrobustimento dei
corpi, con immediati vantaggi fisici ed estetici. Grandi, barbuti, eloquenti,
gli uomini coltiveranno nobili passioni, quali l’amicizia e l’amore.
Non esistendo la
famiglia, i rapporti sessuali saranno liberi, indiscriminati, ininterrotti e
frequenti, anzi continui. Le donne spesso fecondate ingrasseranno ancora, e i bambini
da loro nati saranno figli di tutti e profumeranno la terra. Noi li vedremo vena su forti e chiari e li
educheremo alle arti canore e vocali, alla conversazione, all’amicizia,
all’amore e all’intercorso sessuale non appena siano in età a ciò idonea.
Andateci piano ragazzi, che tanto ce n’è per tutti.