sabato 28 dicembre 2013

GIACOMO LEOPARDI - DIALOGO TRA UN VENDITORE D’ALMANACCHI E UN PASSEGGERE





Cito dall’edizione Rizzoli delle Operette morali, edita nel 1976 (ristampa del 1999), curata da S. Orlando. Il curatore premette questa nota al testo di Giacomo Leopardi (1798-1837):
Questo dialogo fu composto nel 1832 (probabilmente a Firenze). Non è dubbio che il suo primo spunto consista nella nota dello Zibaldone data 1 luglio 1827: “Io ho dimandato a parecchi se sarebbero stati contenti di tornare a rifare la vita passata, con patto di rifarla né più né meno quale la prima volta. L’ho dimandato anco sovente a me stesso. Quanto al tornare indietro a vivere, ed io e tutti gli altri sarebbero stati contentissimi; ma con questo patto, nessuno; e piuttosto che accettarlo, tutti (e così io a me stesso) mi hanno risposto che avrebbero rinunziato a quel ritorno alla prima età, che per se medesimo sarebbe pur tanto gradito a tutti gli uomini. Per tornare alla fanciullezza, avrebbero voluto rimettersi ciecamente alla fortuna circa la lor vita da rifarsi, e ignorarne il modo, come s’ignora quel che della vita resta da fare. Che vuol dir questo? Vuol dire che nella vita che abbiamo sperimentata e che conosciamo con certezza, tutti abbiamo provato più male che bene; e che se noi ci contentiamo ed anche desideriamo di vivere ancora, ciò non è per ignoranza del futuro, e per una illusione della speranza, senza la qual illusione e ignoranza non vorremmo più vivere, come noi non vorremmo rivivere nel modo che siamo vissuti” (Zib., I, 1118-119).

Venditore: Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere: Almanacchi per l’anno nuovo?
Venditore: Sì signore.
Passeggere: Credete che sarà felice quest’anno nuovo?
Venditore: Oh illustrissimo sì, certo.
Passeggere: Come quest’anno passato?
Venditore: Più più assai.
Passeggere: Come quello di là?
Venditore: Più più, illustrissimo.
Passeggere: Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore: Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggere: Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore: Saranno vent’anni, illustrissimo.
Passeggere: A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?
Venditore: Io? non saprei.
Passeggere: Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore: No in verità, illustrissimo.
Passeggere: E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore: Cotesto si sa.
Passeggere: Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore: Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere: Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore: Cotesto non vorrei.
Passeggere: Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore: Lo credo cotesto.
Passeggere: Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore: Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere: Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore: Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.
Passeggere: Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
Venditore: Appunto.
Passeggere: Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore: Speriamo.
Passeggere: Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.
Venditore: Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere: Ecco trenta soldi.
Venditore: Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.

lunedì 16 dicembre 2013

VERSI AMENI




SALUTI AL RAGNO

Ciao ragno fedele, l’autunno ti ha inghiottito:
dopo mesi di compagnia discreta
ci siamo salutati senza dirci nulla
come fosse una legge ineluttabile.
Eri silenzioso e infaticabile:
le tue ragnatele tocchi d’arte
l’arte della superba e sventurata Aracne.
La tua tela sfiorava la parete bianca
leggera saltellava tra i cadaveri di zanzare
spiaccicati contro il muro
e resisteva alla ramazza che a volte
la distruggeva.
Ma tu non ne avevi a male:
sei fatalista, questo l’ho capito,
accettavi il destino e non fiatavi
aduso da millenni alla sfortuna
e a tessere tele all’infinito.
Eri l’amico fragile:
grazie per la compagnia notturna
grazie per il silenzio delle tue passeggiate sulla parete
grazie per gli insetti trangugiati
o per quelli avviluppati nella tua tela
e poi scomparsi nella lupara bianca entomologica.

ELOGIO DELLO ZANZARICIDA

Confesso, uccido senza rimorso.
Lo so: ci fosse un tribunale di zanzare
sarei condannato per genocidio.
Non potrei nemmeno difendermi
asserendo che eseguivo gli ordini.
Uccidevo appostandomi per lunghi minuti,
armeggiando con sapienza con l’abat-jour,
miscelando luce e buio per confonderle.
Tendevo poi l’orecchio e “zac”,
congiungevo le mani e poi godevo, sì,
godevo nel vedere la rompipalle schiacciata
e il sangue, frutto del suo latrocinio,
inzaccherare i miei palmi.
Oppure, esausto per il continuo ronzare
nella tropicale umidità estiva,
menavo fendenti alle tenebre
finché non accendevo la luce
e affrescavo sul muro un giovane fossile di zanzare.
Ora che l’estate è terminata non condannatemi
penose imitatrici di Dracula:
a primavera vi aspetto ancora qui.

 
MOSCA

Ti ricordi quella notte che non finiva più:
ero solo in casa, le zanzare non davano pace.
Ogni volta che accendevo la luce
tu riprendevi a ronzare stancamente
come se ti stessi lamentando
e volessi dirmi che non ti facevo dormire.
Ma tacevi per delicatezza.
Sei stata gentile, sai, a sopportarmi quella notte
piccola mosca che crepavi di sonno.
Quel tuo ronzare mi teneva compagnia
appena accesa la luce
e, al buio, sapere che tu dormivi
posata sulla tenda, sul comò o chissà dove
mi confortava.
Chissà dove sei finita, t’ho perduta:
qualche tua amica l’ho anche accoppata
con lo strofinaccio in cucina,
spero però non fossi tu…

IL PICCOLO MONDO ANTICO DEL GENERALE VANNACCI

  Il libro di Roberto Vannacci è a metà strada tra un pamphlet/saggio e un manifesto politico e affronta molti temi: ambiente, economia, fam...