giovedì 13 ottobre 2016

La carovana delle malinconie. Poesie 2006-2016

Finalmente sono usciti questi versi. Sono stati faticosi, meditati, sofferti, strani. Ma desideravo renderli pubblici. Non so se scriverò ancora. Ecco intanto due poesie della raccolta:



Dopo tanti anni

Dopo tanti anni ancora qui
ad ascoltare la musica, a sentire la chitarra tra le dita,
avvertendo il lamento delle idee e delle lacrime metafisiche
e dei gatti che raspano contro gli scuri.
Tanti modi per innamorarsi
e tante occasioni perdute sulle strade del nulla
per tacere e amare tacendo,
per sfiorare la perfezione senza centrarla,
per dormire o sognare di dormire galleggiando
e mollemente avvertendo una mano sulla schiena.
Poi i gatti tornato a miagolare e smettono di chiedere cibo
e la notte sale sul carro dell’infelicità e del buio;
perché oggi e ancora domani le carte e un amore,
un bicchiere di vino e un altro amore ancora,
un silenzio appassito e una passione nuova,
e la fame di vita, di un’esistenza autentica.
Tutto già visto, già registrato, un déjà-vu che annoia ed eccita
finché la malinconia e le gocce di sudore non fanno troppo male,
ma la doccia è un luogo erotico solo se si è in due,
mentre i gatti in silenzio dilaniano topi e scarafaggi
prima che l’alba torni a percorrere i pascoli del cielo.
E citiamo Steinbeck, citiamo Eliot,
citiamo Sartre, citiamo Camus,
ma siamo ancora qui, più vecchi,
a schiacciare sempre i tasti sbagliati,
sempre a un passo dalla vittoria,
alla ricerca di ciò che sempre manca,
a stringere mani e baciare seni,
a compitare le amarezze e le illusioni,
come insetti inchiodati al muro
che danno gli ultimi colpi di zampa.

Inverno ‘95


Io mi ricordo ancora dell’inverno del ’95, e del tuo camino,
dei sassi sugli zaini per farsi i muscoli,
della neve, e del freddo, di quella montagna marrone,
e dell’autista che non partiva
aspettando che ci dessimo l’ultimo bacio
sul piazzale della stazione delle corriere.
Io tornavo a Bergamo, tu rimanevi lassù, chissà,
chissà dove sei da allora, dove sei adesso
e perché non volesti passare il capodanno con me.
Eri distratta, ma concentrata nei baci e nell’occorrente
per occupare i silenzi di gesti e parole
che credo tu non abbia scordato mai.
Io no di certo, nemmeno pensando a quel pomeriggio d’inverno,
al ticchettio dell’orologio che scandiva l’avvicinarsi a te,
al silenzio bianco di quei minuti, alle mie parole
al tuo sorridere stupito, pieno e largo,
nel vedere che mangiavo la pasta corta col cucchiaio.
Presto quei giorni divennero ricordo e nostalgia
e i minuti tra noi fugaci e disordinati,
come maglioni piegati male,
e poi certe sofferenze non le ho dimenticate
benché i baci continuarono finché l’inverno finì
e finirono le lunghe attese sotto casa tua,
i silenzi al telefono, la paura di non essere all’altezza.


IL PICCOLO MONDO ANTICO DEL GENERALE VANNACCI

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