martedì 3 luglio 2012

Poesia di giugno


Il punto un insieme di linee esauste
la sedia in mezzo alla stanza scoppia di caldo
l’azione della tua mano è il frutto di un’ombra
spenta per troppo sole.
Alza le tende, al mattino, sali sul tetto
e non scendere più finché
l’odoroso giorno di giugno
si annerirà colpevole come te.
Saprai di non essere quel che appari
comprenderai quanto sia utile l’illusione
di sapere rammendare i calzini, i pensieri,
la tua noiosa identità.
Scendendo le scale dopo il pranzo
il petto pesa come fosse di ferro
e il cuore si smarrisce in extrasistole selvagge
che tolgono forza alla falsità del tuo ego.
È tra scoscesi valloni e fiumiciattoli gelidi
che scoprirai, forse, la vanità di parole e musiche
scritte al lume di candele rubate ad altri.
È un augurio per essere finalmente quel che vorrai
ma tutti sanno che tu non sai nemmeno
qual è il tuo vero volto, quello dello specchio mattutino,
che si staglia tra nebbie domestiche
e dentifrici al sapore di menta artificiale.
O quello indossato nelle quotidiane conversazioni
con altri visi butterati da malinconie pallide
mentre conti le ore che muoiono contro i vetri
che hanno figure oscene incastonate nella polvere.
In fondo poi galleggi anche tu nel vacuo mare mefitico
che ingoia quel che trova davanti a sé.
Restituisce poi solo relitti di sentimenti e idee
e non serve a nulla nuotare verso una spiaggia
che è sempre a un tocco di mano eppure lontanissima
prima che l’onda, l’ultima, copra benefica
i tuoi giorni, le nostre notti.

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