lunedì 5 aprile 2010

DIVAGAZIONI LETTERARIE. CARLO EMILIO GADDA CONTRO UGO FOSCOLO



da A. Arbasino, L’Ingegnere in blu, Adelphi, Milano 2008

Carlo Emilio Gadda di certo non amava Foscolo. Ne rispettava “il dolore e l’opera, nelle parti in cui merita d’essere rispettata”. Tuttavia lo definiva “uomo furbo e scaltro e innegabilmente commediante”, giudicandolo “uno dei personaggi meno accattivanti della letteratura italiana”. Arbasino ci dice che Gadda chiama Foscolo il “Basetta”, bollandolo come roditore, scimpanzé, scoiattolo e… piteco. Niente di meno!
Sembra che l’antipatia verso il Foscolo sia artistica, poetica ma anche, potremmo dire, semplicemente umana. Leggiamo: “Nella cosiddetta ‘poesia del Foscolo’ tutto si riduce a ricerca onomastica ellenizzante o comunque classica, a un macchinoso e inutile vocabolario, a una sequenza di immagini ritenute greche e marmorine, a un vagheggiamento di donne di marmo in camicia, o preferibilmente senza, da lui dette ‘vergini’. Mi sa che gli piacessero di quattordici anni, anche se in pratica, a scanso di grane, le sue amanti ultraconiugate ne ebbero un po’ di più…”.
E poi: “In Ugo Foscolo io non odio il poeta: se mai odio l’istrione, il basettone. Non odio l’innamorato. Odio, caso mai, quello che si finge tale per tirare il colpo alla figlia diciottenne dell’ospite babbeo: il quale ospite, facitore di versi, ha una opinione iperbolica del creduto Poeta Iperbolico… Vantarsi del pelo! È un’opinione da parrucchiere!... Una volta nudo, era sicuro di riuscire irresistibile. Avanti, signore e signori! Una lira, una misera liruccia! Per vedere il petto a Ugo Foscolo…”.
Quando Arbasino domanda perché Gadda odia a tal punto il Foscolo, la riposta è questa: “Questo risentimento ha origini in me bassamente moralistiche… In questo senso: non mi sento di moralizzare nessuno, ma sospetto in Foscolo in qualche modo una teatralità sprezzante cattivona che non gli competeva. Ha cercato di imporsi nelle lettere e con le donne a base di basette, col pelo, con questo ‘largo petto’, ‘nudo petto’, ‘irsuto petto’: come se fosse merito suo quello d’avere un irsuto petto! E come se fosse vero che molto pelo vuol dire molta musica! È un narcisismo da torero! Senza contare che il narcisismo dell’irsuto petto è sbagliato anche come narcisismo, perché il Narciso classico è appetibile a se stesso perché è glabro…
Inoltre, l’abuso che fa di alcuni vocaboli rivela in lui una fissazione probabilmente edipica per la femminilità della madre. Fra questi vocaboli, ‘sacerdotessa” ricorre in misura crescente in tutte le testimonianze del suo Gradus ad Parnassum: Caduta da cavallo, Amica risanata, Sepolcri, Grazie, sempre come aumento di frequenza. Sempre la donna promossa a sacerdotessa!
Poi, l’abuso della parola ‘vergine’, e anche della parola ‘diva’… L’abuso di virtù sempre riferita alla donna senza camicia (o che sta per togliersela) pone il poeta talora moralista in contraddizione con se stesso. Non rimprovero che gli piacessero le donne: ma in quanto la vergine in camicia è destinata a diminuire nella società umana il pourcentage di vergini che sembrano inebriare lo spirito del poeta. Rapito da un vaporare di fantasie femminili in camicia, scopre delle ‘vergini’ persino sull’aereo poggio di Bellosguardo! Tutte vergini per lui! Ci sono più vergini nei millenovecento versi del Foscolo che in tutta la storia di Roma antica. Nelle Grazie, poi, sono vergini anche i quadrupedi. Vergini gli uomini, vergini le donne, vergini che si salvano a nuoto, vergini i cavalli, vergini le cavalle, vergine la cerva di Diana. E Diana stessa. E le Muse. E Minerva. Nessuno si salva dalla verginità. Però il Foscolo non par mai voler incontrare il martirio (coltellata del rivale) per la vergine. Ha sempre tentato di adire donne maritate, e soprattutto malmaritate, di condizione agiata, per conquidere il cuore delle quali non occorreva pagare scotto né di buona entrata né d buona uscita”.
Vi è Gadda altresì una critica dell’atteggiamento ambiguo che il Foscolo avrebbe tenuto verso l’esercito francese e il suo condottiero, Napoleone. Ma vi è anche una critica potremmo ‘testuale’ alla poetica foscoliana, che non va taciuta. Dice Gadda che Foscolo ha impiegato delle espressioni poetiche che risultano “ridicole” per mancanza di controllo: “L’inizio delle Grazie è una sciarada… ‘Entra ed adora’… Ma che verso è? Chi entra ed adora si troverà col naso all’altezza dei tre cocò...”. Oppure: “Il Foscolo è capace di scrivere in una lettera ‘Ho passato un’intera notte a piangere’. È fisiologicamente impossibile!”. E ancora: “ ‘Vorrei coprire di rose la tua tomba e sedermi sopra in perpetuo pianto’. In questo caso, la prima cosa che gli sarebbe capitata sarebbe stata di pungersi…”. La conclusione è icastica: “il Foscolo, col Carducci, è il più grande strafalcionista del lirismo italiano ottocentesco”.

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