mercoledì 31 marzo 2010

Due poesie: G. Barreca



La prima delle due nasce riflettendo su alcune fotografie consunte. Sì, non è un'ispirazione originale, ma questa è stata la sua causa. La seconda nasce dalla visione di prati deserti, butterati da vestigia di pic-nic, interrotti dalla pioggia marzolina. Una specie di istantanea di qualcosa che non c'è più.


L’inganno della camera oscura

Il sorriso degli astanti era un artificio
mentre l’obiettivo frugava le anime:
tutti splendevano di una luce incanutita.
Lui invece guardava per terra, inseguendo formiche
e i pensieri mesti di adolescente senza infanzia.
Il fotografo s’appello al “ciis”, alla concordia:
ma la zia fece le corna al marito, con le mani,
e il cugino pizzicò le forme morbide
della mamma della sua fidanzata.
Il nonno statuario sorrideva senza felicità,
mentre la nonna tendeva i muscoli per non scomparire,
per non essere la solita comprimaria.
Lui no: grigio nella giornata colorata,
indossava una cravatta scura e un po’ d’angoscia.
Alla fine il fotografo scattò: l’istante era stato infilzato
e reso immortale nell’afa del pomeriggio agostano.
Malinconia, rancori e senso di frustrazione scomparvero
nell’azzurro mormorare dell’estate del sud
che cancellava ogni velleità d’amore
da quei volti sudati e non più truccati.
Il cielo sembrava di gesso
e dei parenti indaffarati a mostrarsi immobili
rimaneva sulla lastra una striscia chimica.
Nella camera oscura le liti, la tristezza,
l’angoscia, i pizzicotti e la cravatta nera si confusero:
un guazzabuglio di vanità cadde sulla fotografia,
falsificando il ricordo, soffocandolo nella culla.


Ultime gocce di pioggia

Le macchie delle ultime gocce di pioggia,
sulla radura ormai desertificata:
bicchieri rovesciati su frange di pensieri
come onde,
onde ricamate e ricamanti,
da una mano che appare scompare riappare.
Dureranno queste ultime gocce,
dureranno fino alla fine d’ogni cosa,
al sole che annerisce il tramonto,
all’alba nuova che imbianca le case?
Non si sa, e stop.
Nessuno poi se lo chiede più:
la domanda è vana, chi l’ha posta
non gliene importa più nulla,
e la sua figura si perde nella caligine.
Le ultime gocce di pioggia non erano proprio le ultime:
altre ne verranno, le prime dopo le ultime,
le ultime prima delle prime.
Continueranno a macchiare l’erba,
dopo il pranzo all’aperto, e stop.
Sull’erba imberbe sono stesi stracci e cartacce,
parole sussurrate da nessun uomo,
una tovaglia rossa orlata di impronte
di dita e di mani intinte nel vino.

1 commento:

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