martedì 7 dicembre 2010

Vecchie domeniche al crepuscolo



Non è l’orizzonte quello che manca,
né un vetro doppio per respingere gelo e malinconie,
ma è il contatto con mani e parole,
con un avvenire che sorge indefinito,
tra finestre, noia, portici deserti
e vane parole di esseri umani.
Alla fine gli abeti lassù scompaiono
e la solitudine plana mollemente
sulla strada coperta di fiocchi di neve.
Non c’è un orologio oggi a comandare,
né una stampante bizzosa,
né un fax recalcitrante e cafone
a vomitare foglio neri e bianchi.
Ci sono lontani colpi di tosse
di vecchie vite al crepuscolo,
televisioni accese per compagnia,
anguste cucine di seconde case,
figure umane sperdute nel silenzio invernale.
Questo rimane dai bagordi del sabato
vissuti in differita: mozziconi fumanti,
parole comprate al discount, carezze in saldo,
e bestemmie al sapore di vino
contro il cielo delle stelle fisse.
Ribellarsi all’immobilismo odierno è giusto,
ma per un attimo, e poi stop;
si può solo sussultare nel letto la notte,
sentendo gatti che vanno all’amore e alla guerra
e latrati di cani invidiosi ed eccitati.

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