1 settembre
La sorpresa del non passare di qualcosa che appare eterno
svanisce la sera sullo spiovente tramonto arancio.
Un’unica idea guida gli umani afosi: abbeverarsi
e poi riarsi di caldo tornare a dormire in nottate umide
sfidando i pensieri sfibrati sulle proprie miserie
e misere esistenze che non scorrono mai veramente.
Non iniziano e non finiscono.
2 settembre
Poi anche se cade acqua da qualcosa o da qualcuno lassù
è cenere di passato che ingombra alla fine le terrazze
che mostrano fiori marci dentro vasi pieni di terra
vermifera.
Sul ballatoio un suono di chitarra si spegne alla festa
paesana
e il borgo rio, natio, ma senza più Silvie sbeffeggianti
accende uno a uno i propri lampioni arancioni
e il cielo notturno rosseggia d’un colore innaturale.
4 settembre
Ciaf-ciaf d’olio e di frittate con uova appena colte
dal culo caldo di galline senza voce e con poca fantasia;
solo allora il mistero dell’esistere dà angoscia
e poi l’angoscia diventa panico vino nel bicchiere
e volontà di non essere più quel che si è…
come se poi si potesse non esser più
quel che si è, oh che illusi questi bipedi parlanti
la frittata si fredda, mangiatela, suvvia, dai!
7 settembre
A volte l’alito dell’esistere traspare da un niente,
da un muro scalcinato che nessuno guarda più
o dalle borse della spesa ricolme di amenità
e di cibi da discount comprati senza guardare etichette.
Potrebbero forse essere più dolci le ore della sera
quando il tramonto ustiona le cime dei monti
e le case fumano al sole come donne soddisfatte
di avere detto falsi “no” ai loro spasimanti maleducati.
8 settembre
Sono qui le carte sul tavolo i libri i bicchieri
e il bar della strada ha chiuso le serrande contro il vento
che non sa attraversare gli alberghi del lungomare
polveroso e nero come la pece di navi
che non solcano più quel mare laggiù.
Tutto passa non passa e torna non torna mai
e sempre di nuovo la misera sera di una misera cena
mette di cattivo umore chi avrebbe motivi
per ridere o sorridere o almeno non lamentarsi
del rumore delle poche automobili che morbide
scorrono sull’asfalto sconnesso di questa città.
9 settembre
È muta la sera di una tranquilla fine d’estate
quando il mare spegne il suo colore senza urla
ma con un quieto sospiro “è finita” anche quest’anno.
Pochi turisti resistono all’argentino sorridere della luna
quando il giorno appassisce e le docce la sabbia
il profumo del sale si mischia alle fritture pesanti
che danno allo stomaco un senso leggero di nausea
che accompagna il turista all’ultima notte di vacanza.
9 settembre/2
La televisione s’è spenta e il letto è lì
disponibile bianco e fresco come sempre
e come sempre si scala il buio delle ore piccole
per tornare a sorridere su balconi bianchi ammattonati.
Le case vecchie odorano di malinconia
e la polvere antica di gesti e parole per sempre perdute
non scompare mai perché nessun panno la laverà.
Anche se poi le vecchie case sono tali
solo per quelli che le hanno vissute per primi
e che per primi per fato o volontà imbelle
le hanno abbandonate al nullificare del tempo.
10 settembre
Umani sorrisi lampeggiano al termine della notte
quando non sembrano più esserci misteri né dubbi
esistenziali
né puttane gentili agli angoli delle pizzerie chiuse per
turno.
Le colazioni salgono e scendono esofagi stanchi
mesti come le auto incolonnate per il ritorno infinito
alla malinconia di un tempo di una routine e di spazi vuoti
tra carte che non si sanno scrivere e parole buttate nei
cessi
di autogrill odoranti mele marce e panini all’aglio.
11 settembre
Stamattina il mare vomitava granchi mezzi morti
che si mimetizzavano svogliati tra la sabbia grigia
della battigia calpestata da mani e piedi in pensione
che afferravano i granchi per il pranzo del mezzodì.
La sabbia bollita sarà stata buona perché gratis
e i miseri granchi incolori avranno condito paste magre
sull’epilogo di un’estate senza emozione
che si spegne tra le onde di un mare
autunnale stufo di essere invaso dagli umani.
12 settembre
Serenamente al vento muoiono le luci cittadine
e la pioggia dentro le grondaie canta a squarciagola
allungando l’agonia di una sera davvero strana
offesa da metafisici suoni di clacson volgari
e da zanzare ritardatarie sul finire del giorno.
Serenamente poi s’è accesa di nuovo la luce
e umani senza volto si sono svestiti e rivestiti
per costruire l’ennesimo giorno terreno
perso tra la solita fine e il solito inizio
del tutto contingente precario dell’esistere.
17 settembre
Un campanello di bicicletta richiama la poesia della notte
finché un rutto non distrugge il silenzio e poi ritrovala
l’ispirazione per dettare al computer parole decenti senza
rima.
Chi se ne frega allora e torniamo a compilare elenchi di
sensazioni
e chi sa chi le leggerà e se mai sporcheranno le pagine di
libri
difficilmente vendibili e difficilmente regalabili.
Come i caffè presi la sera che se poi non si dorme bene
la colpa è solo loro, poi è finita, stop, resta l’ignominia
dell’insonnia e di un inelegante sogno mattutino.
"[...]Umani sorrisi lampeggiano al termine della notte
RispondiEliminaquando non sembrano più esserci misteri né dubbi esistenziali"
mi soffermo sulla "notte", che ancora e sempre con piacere leggo nei tuoi versi, quasi una sorta di speranza di riuscire ad essere differenti al suo passaggio, al suo paesaggio, oltre il buio che prospetta, che in questa sequenza - bellissima e coinvolgente -si configura in tutti quegli aspetti che ci sono accanto e che diamo per nostri, per certi, per belli, quando in realtà sono tutt'altro fino a farci giungere alla "volontà di non essere più quel che si è…
come se poi si potesse non esser più
quel che si è"..
assume una connotazione particolare, il pomeriggio, con la tua scrittura. grazie.
AnGre