Così si potesse dimezzare ogni cosa intera … così ognuno potesse uscire dalla sua ottusa e ignorante interezza. Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse, stupide come l’aria; credevo di veder tutto e non era che la scorza. Se mai tu diventerai la metà di te stesso, e te l’auguro, ragazzo, capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrei perso metà di te e del mondo, ma la metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutto sia dimezzato e straziato a tua immagine, perché bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani (Cap. V).
Il visconte Medardo di Terralba è
stato ferito dai Turchi in Boemia. Scampato alla morte non si sa come, torna
nelle sue terre (un luogo imprecisato del Genovesato) troncato a metà. Il suo
ritorno è segnato da nequizie d’ogni genere: torture, impiccagioni da lui
ordinate per semplice capriccio, clima di terrore. S’invaghisce di una ragazza,
Pamela, che corteggia facendole trovare sulla via esseri e piante orrendamente
mutilate. Taglia tutto a metà, come per rendere uguale a se stesso la natura. Lo
chiamano il Gramo. La frase citata in epigrafe, rivolta al nipote (il narratore), è un po’ il “sugo” della storia, perché
illumina il lettore sulla prospettiva con cui il Visconte dimezzato affronta il
mondo. Così si comprende che la grandezza di Italo Calvino (1923-1985) risiede,
per quel che concerne questa storia, nell’intreccio tra un racconto di
fantasia, una sorta di favola, e un racconto che porta avanti una riflessione
seria e amara sull’incompletezza di ciascuno di noi.
I livelli di lettura del racconto,
dunque, sono almeno due: quello superficiale concerne la trama del romanzo, che
si snoda attraverso diversi episodi e personaggi (la comunità emarginata dei
lebbrosi, i decadenti e tristi ugonotti), e il livello simbolico, più profondo.
A un certo punto della storia avviene
il ritorno dell’altra metà di Medardo, incredibilmente scampata anch’essa alla
morte grazie alle cure di pietosi eremiti. L’apparizione di questa metà è all’inizio
un sollievo per gli abitanti di Terralba: essa è buona e si contrappone, con la
dolcezza e il perdono, a quella cattiva. Questa parte, come ha fatto la metà malvagia,
espone la sua idea sul significato dell’essere scisso in due, rivolgendosi alla
pastorella Pamela:
… questo è il bene dell’esser dimezzato: il capire d’ogni persona e
cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza. Io ero
intero e non capivo, e mi muovevo sordo
e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque, là dove meno da
intero uno osa credere. Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto,
ma tu pure e tutti. Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero, non
conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e la mancanze del mondo. Se verrai
con me, Pamela, imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi
curando i loro (Cap. VII).
Sia la parte cattiva che quella
buona di Medardo sostengono insomma che lo scoprirsi divisi in due rappresenta
un arricchimento per loro. Essi infatti hanno il vantaggio di vivere nella
propria carne, e dunque in modo realistico, una condizione che ogni essere
umano possiede, ma in modo simbolico e, quindi, spesso sfuggente. Tuttavia, il
romanzo dimostra che l’essere dimezzato impoverisce alla fine l’uomo, perché l’essere
umano è caratterizzato dalla coesistenza, spesso complicata, di contrasti, di
diverse idee, tendenze, comportamenti.
Non a caso, ben presto anche la
parte buona viene in uggia agli abitanti: la sua bontà, infatti, è ottusa,
cieca e ostinata, insopportabile come la malvagità, che era ugualmente
gratuita, insensata. Dice Calvino nella Presentazione:
“che queste due parti fossero egualmente insopportabili … era un effetto comico
e nello stesso tempo anche significativo, perché alle volte i buoni, le persone
troppo programmaticamente buone e piene di buone intenzioni sono dei terribili
scocciatori”.
Anche la parte buona s’innamora
della pastorella Pamela e la brama come sposa. La pastorella si promette a
entrambe le metà di Medardo, mirando però a gabbarle entrambe: il matrimonio
viene celebrato tra Pamela e la parte malvagia di Medardo, solo perché la parte
buona giunge in ritardo. Ed eccoci al redde
rationem. Le due parti di sfidano a duello: si feriscono entrambe
gravemente ma, per miracolo medico, le due parti tornano unite. Ci si rende
allora conto che un essere umano a metà è solo una metafora di un uomo
certamente non unidimensionale, eppure inevitabilmente uno e scisso solo simbolicamente
in mille sfaccettature. Conclude Calvino (Cap. X): “Così
mio zio Medardo ritornò uomo intero, né cattivo né buono, un miscuglio di
cattiveria e bontà, cioè apparentemente non dissimile da quello ch’era prima di
esser dimezzato. Ma aveva l’esperienza dell’una e l’altra metà rifuse insieme,
perciò doveva essere ben saggio. Ebbe vita felice, molti figli e giusto governo”.
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