sabato 11 gennaio 2025

"Nebbia" romanzo di Miguel de Unamuno


Nebbia (titolo originale: Niebla) è un romanzo scritto da Miguel de Unamuno, pubblicato nel 1904. È un'opera che si distingue per la sua originalità e per il suo approccio filosofico alla letteratura, fondendo elementi di narrativa tradizionale con una riflessione profonda sulla vita, la morte, l'identità e il destino umano.

Il ricco e giovane Augusto Pérez vive in una sorta di "nebbia" esistenziale, una condizione di smarrimento e indecisione che lo rende incapace di trovare un vero senso alla propria vita: “Noi uomini non siamo soggetti né alle grandi gioie né ai grandi dolori, perché queste gioie e questi dolori ci giungono avvolti in un’immensa nebbia di piccoli eventi. E la vita non è altro che questo, nebbia”.

Augusto è un giovane intellettuale di classe media che si sente alienato dal mondo che lo circonda. La sua esistenza, inizialmente monotona, si complica quando incontra una donna, Eugenia, che lo fa innamorare e lo spinge a riflettere sulle sue scelte esistenziali.

Il romanzo si sviluppa attraverso i pensieri e le azioni di Augusto, che, in un continuo dialogo interiore e con gli altri personaggi, si interroga sul suo posto nel mondo. Unamuno gioca con la percezione della realtà, creando situazioni che si rivelano essere incerte e ambigue. Fin qui ci sono alcune somiglianza con La coscienza di Zeno di Italo Svevo. La storia prende però una piega inaspettata quando Augusto decide di mettere in discussione la sua stessa esistenza e quella dei personaggi che lo circondano, arrivando a una riflessione meta-letteraria sul ruolo dell'autore e dei suoi personaggi.

Il romanzo racconta una storia d’amore, ma anche una storia dell’angoscia e della noia di un personaggio che incarna un alter-ego non solo dell’autore, bensì di tutta l’umanità. Tanto è vero che a un certo punto, il personaggio e l’autore si conoscono, hanno un dialogo drammatico, in cui il personaggio, deluso dall’amore, afferma che ha intenzione di suicidarsi e l’autore gli dice che non potrà farlo, perché sarà lui a farlo morire, come in effetti avverrà. Questa situazione fa crollare la classica struttura del romanzo, costringendo il lettore a domandarsi chi sia realmente l’autore e chi sia invece il personaggio dell'opera. Qual è la finzione, quale la realtà? «La mia vita è un romanzo, una novella … o che altro ancora? Tutto quello che succede a me, e a quelli che mi stanno intorno, è realtà o finzione? Non sarà forse un sogno di Dio o di chissà chi, che svanirà nel nulla quando Lui si sveglierà? E non sarà per questo che Gli dedichiamo cantici e preghiere, per continuare a farlo dormire, per conciliargli il sonno?”. E ancora«Io per lo meno posso dirti che per quanto mi riguarda, uno dei momenti in cui provo più vergogna è quando resto da solo a guardarmi allo specchio, e nessun altro mi vede. Finisco col dubitare della mia stessa esistenza, e siccome non riesco a riconoscermi, immagino di essere un sogno, un’entità immaginaria...».

Alla vigilia della Prima guerra mondiale, con questo libro de Unamuno esprime l’angoscia della società, dei suoi elementi più evoluti, mettendo in scena una sorta di teatro dell’assurdo, creando una storia che, iniziata come un romanzo classico (con trama, personaggi, sentimenti), implode su sé stessa, si sfilaccia per dimostrare quanto sia sfilacciata e insensata l’esistenza. Il senso di disorientamento e di sconfitta del personaggio è quello dell’umanità, che vive una crisi di identità esistenziale.

L’autore però ha la speranza e la fede che l’uomo possa mutare. Si tratta di una fede religiosa dove il dubbio ha una parte essenziale, ma nella quale l’incertezza sono è fine a sé stessa, bensì aperta alla costruzione di qualcosa, a una speranza. «E pensare è dubitare, nient’altro che dubitare. Si crede, si sa, si immagina senza dubitare; né la fede, né la conoscenza, né l’immaginazione prevedono il dubbio, e il dubbio addirittura le distrugge: ma non si pensa senza dubitare. Ed è il dubbio che trasforma la fede e la conoscenza, che sono qualcosa di estatico, di placido, di morto, in pensiero, che è invece qualcosa di dinamico, di inquieto, di vivo».

 Una delle caratteristiche più sorprendenti di Nebbia è il suo stile, all’epoca altamente innovativo, che rompe con le convenzioni narrative tradizionali. Per certi versi, esso anticipa le esperienze di Joyce, Wolf e Svevo, dando forma al flusso di coscienza, unito all’atteggiamento disincantato del protagonista. Il romanzo è strutturato in forma di dialoghi tra i personaggi, ma anche in forma di monologhi interiori del protagonista. Questi monologhi si alternano a riflessioni filosofiche che spaziano dalla libertà individuale all'idea di morte e di destino.

De Unamuno introduce anche il concetto di "punto di vista" come una riflessione sulla realtà e sull'illusione. La "nebbia" che permea la vita di Augusto simboleggia l'incertezza e l'irrazionalità dell'esistenza umana. Il romanzo solleva domande profonde sull'identità, il libero arbitrio e la condizione umana, sfidando il lettore a confrontarsi con i propri dubbi e le proprie incertezze.

Un altro aspetto importante dell'opera è la critica alla società dell'epoca, e al contempo una riflessione sull'individuo come essere isolato, incapace di connettersi pienamente con gli altri e con il mondo circostante. Le difficoltà e le angosce di Augusto sono specchio delle sue lotte interiori e della sua ricerca di significato in un mondo che appare privo di certezze. L’autore riassume tali angosce con una riflessione leopardiana: “Quasi tutti gli uomini si annoiano inconsapevolmente. La noia è il fondo della vita, ed è la noia che ha inventato tutti i giochi, le distrazioni, i romanzi e l’amore. La nebbia della vita trasuda una dolcissima noia, agrodolce liquore”.

Il compito del romanziere, dell’intellettuale, è quello di smascherare l’insensatezza dell’esistenza, la follia dell’uomo, il suo credersi padrone del proprio destino. La denuncia della gratuità assoluta della vita non è fine a sé stessa, ma è un modo per delineare la possibilità di una rinascita. Ecco perché, scrivendo una nota al romanzo vent’anni dopo la sua pubblicazione, l’autore denuncia l’idiozia imperante, che si concretizzava in un atteggiamento comune che portò l’umanità verso la guerra mondiale (e che, pochi anni dopo, l’avrebbe condotta verso un’altra guerra): “L’essenza del puro idiota sta nel fatto che egli non sospetta minimamente di essere un idiota, si crede in buona fede furbo, e quanto più grande è l’idiozia che ripete – perché le idiozie non si dicono, ma si ripetono soltanto – tanto più si convince di enunciare una profonda verità. Per questo il puro idiota è idiota positivo e aggressivo e offensivo, al contrario dell’idiota spurio, che resta sempre negativo e difensivo.

Sono parole che andrebbero bene anche per i tanti leoni da tastiera di oggi, per i tanti che, dietro (l’apparente) anonimato di un social network, pontificano su qualunque argomento, pur senza sapere nulla, e si credono i più furbi e i più intelligenti, i soli in grado di conoscere quelle “verità” che qualcuno (i poteri forti, il “sistema”…) nasconde alla massa degli ingenui.

Nebbia è un romanzo filosoficamente ricco e stilisticamente audace, che continua a stimolare il dibattito tra i lettori e gli studiosi. La sua riflessione sulla condizione umana e sulla relazione tra l'autore e i suoi personaggi lo rende un'opera molto più di una semplice narrazione. La capacità di Unamuno di mescolare la filosofia esistenziale con la narrativa, creando un testo che sfida le convenzioni e le aspettative, fa di Nebbia un capolavoro della letteratura del XX secolo.

Se siete interessati a un'opera che esplora le profondità dell'animo umano e la natura stessa della realtà, Nebbia è una lettura imprescindibile che può dire moltissimo anche all’umanità di oggi.

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