giovedì 9 luglio 2009

La carovana delle malinconie/2

Sempre sul viaggio delle malinconie, che non sono sempre cose brutte, anzi.
L'altro giorno pubblicai la prima stanza della poesia. La stanza s'intitolava: Prima del passaggio. M'immaginavo steso su una panchina della stazione. A vedere noie.
Quella panchina immaginaria che mi ospita, in una stazione deserta, è forse una specie di laboratorio scientifico, dal quale osservo la noia crescere e decrescere.
Mi affido, per questa secondo stanza della poesia, a un'altra auctoritas, senza ovviamente la pretesa di eguagliarla. Ne La noia (1960) Alberto Moravia scrive: "Il sentimento della noia nasce in me da quello dell'assurdità di una realtà... insufficiente, ossia incapace di persuadermi della propria effettiva esistenza".
Eh sì, anche se sembra una traduzione da Sartre. Invece più avanti Moravia è più moraviano: "la noia, oltre alla capacità di uscire da me stesso, è la consapevolezza teorica che potrei forse uscirne, grazie a non so quale miracolo".
Ecco, ora le mie parole:

II) Durante il passaggio
M’illudo di possedere ogni cosa stanotte:
il buio, i bagagli di passeggeri invisibili,
la stazione che desidera treni audaci
in movimento verso di lei,
e la sala d’aspetto che da lontano
m’invita al caldo con l’occhio languido.
Ma quando finirà tutto questo?
Non so più distinguere tra loro
il primo e l’ultimo treno del giorno.
Il fanale di coda da quello di testa.
Solamente quando la noia entra nella mia bocca
i denti smettono di tremare; ho sonno, forse,
o forse non l’ho più, sono vivo perché stanco,
perché non ho chiuso gli occhi di fronte al mendicante
che dorme con me sotto questa panchina

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