giovedì 30 settembre 2010

"L'amicizia", romanzo di Fulvio Tomizza

È il primo libro di Fulvio Tomizza (1935-1999) che leggo, ma sono felice d’aver letto L’amicizia (uscito nel 1980), anche se giudicare uno scrittore da un solo libro è sbagliato. Però questa storia, la storia di un’amicizia tra due uomini che vivono una situazione di contrapposizione culturale, esistenziale, eppure si attraggono, è scritta con molta delicatezza. Fulvio Tomizza è un autore di origini istriane, fuggito in Italia e poi profugo a Trieste alla fine della Seconda guerra mondiale.
Nel romanzo il tema politico è presente, ma sottotraccia, e viene trattato con delicatezza, anche perché Tomizza scrive in modo assai elegante e raffinato; per inciso, credo che dovrebbe essere un autore preso come modello nei “corsi” di scrittura creativa, per pulizia della pagina e capacità tecnica.
La storia contrappone due figure maschili: Marco, l’io narrante, profugo istriano di origini contadine, a disagio nella Trieste degli anni ’50, città in cui quelli che venivano di là, benché italiani, era considerato cittadini di serie B, e Alessandro, triestino con un padre siciliano, ben inserito nella realtà cittadina, e lievemente avverso a quelli di “là”, segnatamente gli sloveni di territorio italiano.
Marco vive in un casamento grande solo con la madre perché è orfano di padre; Alessandro vive nello stesso palazzo di Marco, ma ha entrambi i genitori. Tuttavia, ha un pessimo rapporto con il padre, e qui c’è già un motivo di differenza con Marco, che invece ricorda con grande amore suo padre scomparso.
Alessandro, poi, è relativamente benestante, perché ha un impiego in banca. Marco invece è povero, non lavora: vuole diventare uno scrittore e troverà proprio nel timido ed enigmatico Alessandro il suo primo lettore, il suo primo sostenitore, il suo primo critico. Tra i due l’amicizia nasce pian piano, quasi con pudore, ma poi si sostanzia quando l’uno entra nella vita dell’altro. Nondimeno permarrà tra di loro sempre una distanza, una sottile diffidenza.
Marco non ha avuto ancora una donna; Alessandro, invece, sta con una donna più grande di lui, separata dal marito (un artista celebre a Trieste e non solo). Lui la ama, ma Marco s’inserisce, non per “rubarla”, bensì per colpirla con la sua attività di scrittore. È lei, infatti, che gli fa avere il primo contratto letterario. Di converso, l’impiegato di banca, interessato all’arte ma privo di capacità creativa, soffre, forse, la “rivalità” dell’amico, privo di impiego, eppure, in quanto scrittore, capace di suscitare l’interesse, bonario e paternalistico, di un ambiente intellettuale che Alessandro frequenta quasi da clandestino.
La storia si dipana attorno ai caratteri tipici dell’amicizia tra uomini. la fratellanza, quasi il cameratismo, e spessa una inconfessata rivalità, che si accende di fronte a una donna. Tra i due continua a esserci una linea di confine, un piccolo fossato: Marco, scrittore in erba, italiano con gocce di sangue jugoslavo, è diverso dal triestino Alessandro; quest’ultimo, però, vede nell’amico una sorta di proprio specchio rovesciato. Il modello che lui vorrebbe essere, ma che non può essere. Quando la sua donna se ne va, Alessandro non vuole farsi vedere triste dall’amico; e, da vero maschio, non ammette mai di stare male per amore.
Il romanzo, assai delicato e godibile, giunge, pian piano, a una conclusione inattesa; sarà Marco a “fare” una vita ordinaria: sposerà una ragazza, Cinzia, che forse anche ad Alessandro piaceva. Vivrà da buon marito, diverrà uno scrittore noto, e, grazie al lavoro alla radio, condurrà una vita tranquilla. Invece Alessandro, inquieto al di là della sua condizione professionale più definita, continuerà a vagare in una sorta di eterna indecisione, galleggiando in un colpevole “amor di sé”.
Le pagine conclusive vedono i due di nuovo assieme e soli: le donne, in questo romanzo, sono sempre sullo sfondo, sono delle comparse, dei pretesti per far agire i due protagonisti. I due vanno in gita sul Carso diverse volte, per respirare un’aria salubre, immergendosi in quell’atmosfera di frontiera; e conoscono una donna, Irena, che piace a entrambi. Di nuovo torna la rivalità sottile, inespressa, tra amici maschi: non importa se uno dei due è sposato, perché tra di loro sembra cominciare, benché in forma esplicita, un’altra lotta sotterranea per conquistarla. Naturalmente, Marco lascerà il campo ad Alessandro, perché in definitiva il matrimonio è un freno per lui: si tratta di una questione di opportunità, non di una questione morale. In realtà, la storia tra Irena e Alessandro sarà difficile, contrastata: la diffidenza di Alessandro per quel che è “misto”, poco definito, per una cultura e una lingua metà slovene e metà italiane, rende muto il suo sentimento. Di nuovo il “bancario” tende a fuggire, a scappare, a rimanere scapolo. Irena se ne accorge: di certo sarebbe stato più Marco l’uomo adatto a lei, forse; ma questi è già accasato e lei sposa un avvocato del posto, vedovo di una sua amica.
Alessandro, ancora una volta, è stato portato sconfitto da se stesso, dalla sua perenne inquietudine: non ammette di soffrire per amore, né di essere lui il “colpevole” dell’allontanamento di Irena; eppure è così. O forse è solo un uomo eternamente indeciso, che non sa scegliere, teme di “rovinarsi, scegliendo, e di perdere altre opportunità. Alla fine Marco torna a casa da solo, all’ultima pagina, dopo l’ultimo giro sul Carso. I due non si rivedranno mai più.

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