Il 23 agosto 1868 nasceva Edgar Lee Masters, uno dei poeti
americani più significativi della letteratura mondiale. Oggi mi piace ricordare
questo autore citando la celebre poesia che apre la sua altrettanto celebre
raccolta poetica. Leggere l'Antologia (famosa in Italia anche perché
introdotta nel nostro paese da Cesare Pavese e tradotta da Fernanda Pivano sin
dal 1943) è come aprire un libro composto da infinite pagine. Il lettore non si
stanca mai, perché può leggere le parti che vuole e può trovare una serie di storie,
di vicende, di abbozzi di biografie che lo affascinano ogni volta che le può
leggere.
Si tratta di storie "infelici" (i personaggi sono
tutti morti, spesso in modo violento e disperato), ma il poeta le rende
universali, come fossero le storie di ogni tempo e d’ogni uomo e, con questa operazione
artistica, le fa apparire meno dolorose. Il poeta non nega la crudezza della
realtà, né tace le malefatte dei protagonisti. I personaggi non appartengono
alla nobilita dell'umanità, né sono delle celebrità, eppure egli li rende
immortali, consentendo loro di raccontare la loro vita e la loro morte. Anche
gli assassini, i ladri e gli ubriaconi trovano posto in questa raccolta: la
morte è una livellatrice, certo; e Lee Masters non nasconde le loro misere
storie trasfigurandole attraverso la materia poetica. Tuttavia, lo scrittore
sembra voler lasciare un messaggio: la colpa dell'assassino e del ladro va
condivisa con quella di una società ingiusta e assassina essa stessa. Un po'
quel che dice Il blasfemo:
"Prima
mi incastrarono con l'accusa di condotta immorale,
non c'era alcuno statuto sulla blasfemia.
Poi mi rinchiusero come pazzo
dove fui picchiato a morte da una guardia cattolica.
La mia offesa era questa:
dicevo che Dio mentì ad Adamo, e lo destinò
a trascorrere una vita da stolto,
ignorando che al mondo c'è il male così come c'è il bene"
non c'era alcuno statuto sulla blasfemia.
Poi mi rinchiusero come pazzo
dove fui picchiato a morte da una guardia cattolica.
La mia offesa era questa:
dicevo che Dio mentì ad Adamo, e lo destinò
a trascorrere una vita da stolto,
ignorando che al mondo c'è il male così come c'è il bene"
LA COLLINA
Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,
l'abulico, l'atletico, il buffone, l'ubriacone, il rissoso?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Uno trapassò in una febbre,
uno fu arso in miniera,
uno fu ucciso in rissa,
uno morì in prigione,
uno cadde da un ponte lavorando per i suoi cari -
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dove sono Ella, Kate, Mag, Edith e Lizzie,
la tenera, la semplice, la vociona, l'orgogliosa, la felicie?
Tutte, tutte, dormono sulla collina.
Una morì di un parto illecito,
una di amore contrastato,
una sotto le mani di un bruto in un bordello,
una di orgoglio spezzato, mentre anelava al suo ideale,
una inseguendo la vita, lontano, in Londra e Parigi,
ma fu riportata nel piccolo spazio con Ella, con Kate, con Mag -
tutt, tutte dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dove sono zio Isaac e la zia Emily,
e il vecchio Towny Kincaid e Sevigne Houghton,
e il maggiore Walker che aveva conosciuto
uomini venerabili della Rivoluzione? *
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Li riportarono, figlioli morti, dalla guerra,
e figlie infrante dalla vita,
e i loro bimbi orfani, piangenti -
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dov'è quel vecchio suonatore Jones
che giocò con la vita per tutti i novant'anni,
fronteggiando il nevischio a petto nudo,
bevendo, facendo chiasso, non pensando né a moglie né a parenti,
né al denaro, né all'amore, né al cielo?
Eccolo! Ciancia delle fritture di tanti anni fa,
delle corse di tanti anni fa nel Boschetto di Clary,
di ciò che Abe Lincoln
disse una volta a Springfield.
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