ALBA
Amore
mio, nei vapori di un bar
all’alba,
amore mio che inverno
lungo
e che brivido attenderti! Qua
dove
il marmo nel sangue è gelo, e sa
di
rifresco anche l’occhio, ora nell’ermo
rumore
oltre la brina io quale tram
odo,
che apre e richiude in eterno
le
deserte sue porte?... Amore, io ho fermo
il
polso: e se il bicchiere entro il fragore
sottile
ha un tremitìo tra i denti, è forse
di
tali ruote un’eco. Ma tu, amore,
non
dirmi, ora che in vece tua già il sole
sgorga,
non dirmi che da quelle porte,
qui,
col tuo passo, già attendo la morte.
Questa poesia è contenuta ne Il passaggio di Enea (1956). Lo stile è
malinconico, la scrittura di versi fitta, senza pause, come se l’autore volesse
dire in fretta quel che ha nell’animo, prima che la morte giunga o che tutto
finisca. In questa poesia è presente la sua idea di sonetto “monoblocco”,
mentre la fluidità del verseggiare è resa utilizzando ampiamente gli enjambement.
Il senso della fine incombente
appare spesso nelle poesie di Caproni. La morte si palesa prima nella figura della
fidanzata scoparsa precocemente, Olga Franzoni; più tardi, negli anni ’50, sarà
presente la madre, Anna Picchi, cui Caproni dedicherà gli splendidi Versi livornesi presenti ne Il seme del piangere. Sarà un ricordo
privo di retorica, affatto melodrammatico, eppure vivido, non occultato dietro
forme ermetiche o, peggio, dietro un inutile pudore.
Nella poesia qui riportata l’alba
è livida e invernale, mentre il poeta è immerso nei profumi mattutini di un bar
dai vetri appannati. L’amore atteso non arriva; c’è solo il rumore di un tram
solitario. Si noti l’impiego di un vocabolo aulico, leopardiano, come “ermo”,
unito al termine “rumore”, connesso con l’immagine prosaica di un tram. In
questo modo l’autore mostra di possedere notevoli capacità poetiche, ma di
essere anche cosciente della necessità di adattare il verso alla situazione
vissuta o figurata. In altre parole, Caproni è aulico non nei termini che
impiega, bensì nei temi che tocca. La sua esperienza individuale diventa
certamente universale, ma egli non si erge a moralista, né a modello di
comportamento, né a filosofo.Egli non è un retore: non insegna
nulla, indica solo una viuzza, una stradina, un pertugio nelle nebbie del
mistero. Forse vorrebbe rendere più tangibile la celebre “maglia rotta nella rete” di
Eugenio Montale.
In Alba il terrore
della morte non urla, né crea una retorica del dolore. Il poeta appare quieto,
quasi rassegnato, per nulla solenne sulla soglia del momento supremo (si pensi
ai toni di Stanze della funicolare);
egli tratta un tema universale, a tutti familiare, con delicatezza e
attenzione.
Negli anni ’50 Caproni è già oltre l’ermetismo e, nei suoi versi, egli non
è ossessionato dallo sperimentalismo, dall’avanguardia, bensì è curioso
dell’esistenza: la vorrebbe conoscere sin nei dettagli, benché s’accorga che il
senso del vivere sfugga inevitabilmente: “Di questo, sono certo: io/son giunto
alla disperazione/ calma, senza sgomento./ Scendo. Buon proseguimento” (Congedo del viaggiatore cerimonioso).
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