12 marzo
Molto
tenero il signore anziano che domanda i libri leggendo i titoli da una lista
vergata sui contenitori delle bustine da tè. I titoli sono scritti con la
tipica grafia tremolante degli anziani, quella che mischia maiuscole e
minuscole. Forse non è una persona abituata a scrivere; forse ha paura che le
sua scrittura venga derisa. Chissà. Ha un’andatura dinoccolata, magari per il
peso degli anni, oppure perché ha un timore reverenziale verso i libri. Sembra
voglia scusarsi per il disturbo quando entra in biblioteca. Come se avesse le
pattine ai piedi, non lo si sente avvicinarsi. Appare di fronte al banco quasi
all’improvviso; è silenzioso, attende che gli si rivolga la parola volgendo lo
sguardo verso di lui, come se pensasse che ci sia sempre qualcosa di più
importante da fare che occuparsi di lui o qualcuno di più importante cui
prestare attenzione.
Il
suo volto è congestionato, mite, tipico degli anziani timidi. La bocca è
piccola, il tono di voce modesto: è un uomo abituato a non sprecare parole; un
tempo era biondo quasi di certo, ora è canuto. I capelli sono pettinati con la
riga, come in quelle fotografie datate che c’inteneriscono perché sono in
bianco e nero, mentre se fossero a colori ci lascerebbero indifferenti o ci
farebbero sorridere.
È un
lettore onnivoro, naturalmente preferisce la narrativa. È bello pensare che,
dopo aver bevuto il tè, raccoglie il contenitore per bustine, conservandolo come
cosa preziosa, forse perché un tempo, quando lui era ragazzo, non si buttava
via niente. Poi, quando ha finito il libro in lettura e ne vuole altri,
riprende in mano il contenitore per bustine, lo squaderna davanti a sé,
scrivendoci sopra i titoli dei libri che vorrebbe leggere, faticando con le
mani grasse, nodose, lavorative, temprate dal gelo, dal caldo, dagli anni, o
non so da cosa altro ancora. Anche le mani sono rosse. Avrà avuto una vita
lavorativa non facile.
Quest’uomo
ha più di ottant’anni. Non guarda mai negli occhi. Sarà stato abituato a fare
così per rispetto verso chi, secondo lui, lavorando in mezzo ai libri, sa più
cose di quelle che lui conosce. Non avrebbe senso smentirlo. Fargli capire che
una vita intera è già di per sé una storia, piena di fatti, di persone, di
voci. Lui di certo ha vissuto il fascismo e la guerra, la ricostruzione, le
illusioni del dopoguerra. Insomma, dovrebbe averne di cose da raccontare. Chissà
quante volte lo ha fatto, ai figli, ai nipoti, alla moglie. Oppure non l’ha
fatto mai, non ha mai raccontato niente a nessuno. Non voglio cadere nella
retorica: non dico che la vita vissuta sia meglio dei libri. Dipende dai libri
e della vita. Tuttavia tutti noi uomini siamo tutti piccoli mondi che
contengono tantissime cose, tanti fatti, magari insignificanti, che però, presi
assieme, danno forma a un’esistenza, a una biografia, a un racconto…
Quando
l’uomo se ne va con il libro in mano, saluta appena, con quella “antica
cortesia” che, per dirla alla Guccini, mi dà un “piacere assurdo”. Esce dalla
biblioteca in silenzio, di nuovo timoroso di disturbare. In attesa della
prossima bustina di tè, del prossimo contenitore per bustine, dei prossimi
libri da leggere, dei suoi giorni lunghi che non passano mai.
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