Dopo tanti anni
Dopo
tanti anni ancora qui
ad
ascoltare la musica, a sentire la chitarra tra le dita,
avvertendo
il lamento delle idee e delle lacrime metafisiche
e
dei gatti che raspano contro gli scuri.
Tanti
modi per innamorarsi
e
tante occasioni perdute sulle strade del nulla
per
tacere e amare tacendo,
per
sfiorare la perfezione senza centrarla,
per
dormire o sognare di dormire galleggiando
e
mollemente avvertendo una mano sulla schiena.
Poi
i gatti tornato a miagolare e smettono di chiedere cibo
e
la notte sale sul carro dell’infelicità e del buio;
perché
oggi e ancora domani le carte e un amore,
un
bicchiere di vino e un altro amore ancora,
un
silenzio appassito e una passione nuova,
e
la fame di vita, di un’esistenza autentica.
Tutto
già visto, già registrato, un déjà-vu
che annoia ed eccita
finché
la malinconia e le gocce di sudore non fanno troppo male,
ma
la doccia è un luogo erotico solo se si è in due,
mentre
i gatti in silenzio dilaniano topi e scarafaggi
prima
che l’alba torni a percorrere i pascoli
del cielo.
E
citiamo Steinbeck, citiamo Eliot,
citiamo
Sartre, citiamo Camus,
ma
siamo ancora qui, più vecchi,
a
schiacciare sempre i tasti sbagliati,
sempre
a un passo dalla vittoria,
alla
ricerca di ciò che sempre manca,
a
stringere mani e baciare seni,
a
compitare le amarezze e le illusioni,
come
insetti inchiodati al muro
che
danno gli ultimi colpi di zampa.
Inverno ‘95
Io mi ricordo
ancora dell’inverno del ’95, e del tuo camino,
dei sassi sugli
zaini per farsi i muscoli,
della neve, e
del freddo, di quella montagna marrone,
e dell’autista
che non partiva
aspettando che
ci dessimo l’ultimo bacio
sul piazzale
della stazione delle corriere.
Io tornavo a
Bergamo, tu rimanevi lassù, chissà,
chissà dove sei
da allora, dove sei adesso
e perché non
volesti passare il capodanno con me.
Eri distratta,
ma concentrata nei baci e nell’occorrente
per occupare i
silenzi di gesti e parole
che credo tu non
abbia scordato mai.
Io no di certo,
nemmeno pensando a quel pomeriggio d’inverno,
al ticchettio
dell’orologio che scandiva l’avvicinarsi a te,
al silenzio
bianco di quei minuti, alle mie parole
al tuo sorridere
stupito, pieno e largo,
nel vedere che
mangiavo la pasta corta col cucchiaio.
Presto quei
giorni divennero ricordo e nostalgia
e i minuti tra
noi fugaci e disordinati,
come maglioni
piegati male,
e poi certe
sofferenze non le ho dimenticate
benché i baci
continuarono finché l’inverno finì
e finirono le
lunghe attese sotto casa tua,
i silenzi al
telefono, la paura di non essere all’altezza.
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