Forse è frutto di follia voler provare a commentare l'Etica di B. Spinoza. Ma ci voglio provare ugualmente. Questa che segue è l'introduzione al commento suddetto.
La vita
di Baruch Spinoza (1632-1677)[1] trascorse interamente nei Paesi Bassi in
un’epoca di aspri contrasti religiosi e politici. La sua condizione di ebreo
allontanato dalla sinagoga di Amsterdam, il 27 luglio 1656, e “maledetto” dalla
comunità ebraica che lo esecrava con parole durissime[2], ha trasmesso l’immagine di un autore
difensore della libertà religiosa e sostenitore, nelle opere politiche, della
forma di governo democratica.
Sebbene
Spinoza abbia condotto una vita piuttosto ritirata, svolgendo il mestiere di
molatore di lenti dopo aver abbandonato Amsterdam nel 1656 e l’attività
commerciale ereditata dal padre, non è stato un uomo solo. Egli infatti, in
virtù della sua produzione filosofica, ebbe una cerchia di amici e
corrispondenti che discuteva le opere che egli scriveva e faceva circolare
manoscritte. Il suo amico Simon De Vries, in una lettera del 24 febbraio 1663,
descrive il funzionamento del “circolo” dedicato alla discussione degli scritti
spinoziani: “Per quanto concerne il circolo, il lavoro è organizzato in questo
modo: uno (ma a turno) legge, dà una spiegazione secondo la sua comprensione e
dimostra tutto secondo la serie e l’ordine delle tue proposizioni. Quando
accade che l’uno non possa soddisfare l’altro, abbiamo ritenuto importante
annotare la questione e scriverti, affinché, se è possibile, ci sia resa più
chiara e, sotto la tua guida, possiamo difendere la verità contro quelli che
sono religiosi e cristiani in modo superstizioso, resistendo all’assalto di
tutto il mondo” [3].
Spinoza
riceveva critiche e osservazioni dai suoi lettori e, nelle risposte che egli
inviava, si trovano utili chiarimenti sul suo pensiero. Naturalmente, stante la
natura “eversiva” delle sue idee filosofiche e politiche, egli si attirò anche
tenaci e durature ostilità, non solo in senso alla comunità ebraica olandese,
ma anche all’interno di quella cristiana e calvinista. Egli infatti era inviso
ai rappresentati delle diverse confessioni religiose che in quel momento
storico vivevano forti contrasti, sia interni che esterni. L’accusa di “ateismo” è stata quella che
Spinoza ha subito più di frequente e contro la quale, mentre era in vita, si è
battuto con tenacia, giungendo a confessare a un suo corrispondente, Henry
Oldenburg, di voler scrivere il Trattato
teologico-politico proprio per dimostrare
di non esser ateo. Vista la reazione veemente delle autorità religiose (e in
seguito anche civili) olandesi alla pubblicazione del TTP, si può affermare che
Spinoza mancò lo scopo[4].
D’altra
parte, il pensiero di Spinoza, di cui l’Etica
rappresenta la più matura esposizione, è, “nell’età moderna, il documento
filosofico più sistematico e radicale di un modello alternativo alla civiltà
fondata sulla teologia delle tre grandi religioni rivelate… [l’Etica] si presenta espressamente quale tentativo di demitizzazione e di
inveramento dei contenuti pratici di quelle religioni, svelando la loro
impotenza a costituirsi quali interpreti e testimoni di verità”
[5].
Spinoza
durante la sua esistenza scrisse diverse opere, che fece circolare manoscritte
tra i suoi amici e corrispondenti, ma in vita pubblicò solo due libri: I
principi della filosofia di Cartesio,
seguiti da un’appendice intitolata Riflessioni metafisiche (Amsterdam 1663) e il Trattato
teologico-politico (edito nel 1669, ma
pubblicato anonimo e con luogo di edizione falso). Le altre opere vennero tutte
pubblicate (tranne il KV) nella Opera Posthuma, Quorum series post
Praefationem exhibetur, edita nel
novembre 1677 a cura di L. Meijer.
Secondo
lo studioso italiano Filippo Mignini[6], la prima opera a essere scritta è stata
il Trattato
sull’emendazione dell’intelletto, rimasto
incompiuto, composto poco dopo l’espulsione dalla comunità ebraica di Amsterdam,
nel periodo in cui Spinoza frequentava le lezioni di Franciscus Van der Enden[7].
Sempre secondo Mignini, la seconda opera scritta da Spinoza è la Korte
Verhandeling van God, de Mensch en deszelvs Welstand (Breve trattato su Dio, l’uomo e il suo bene), composto prima in latino e in seguito tradotto in olandese. Il KV non
è stato incluso nell’Opera Posthuma
del 1677, perché è stato scoperto solo nel 1862 da Jan van Vloten. Dopo un
dibattito filologico, ancora grazie alle ricerche di Mignini[8],
il KV è stato riconosciuto come un’opera autentica di Spinoza. Esso è oggi considerato
un testo sistematico e organico, perché contiene un’esposizione del pensiero di
Spinoza che per diversi aspetti anticipa le argomentazioni dell’Etica. Da alcuni accenni che si trovano
nell’epistolario (lettera 6 a E. Oldenburg, G VI), il KV risulta in composizione nel 1661.
La
stesura del Trattato teologico-politico, cominciata nel 1665 interrompendo la redazione dell’Etica, nasce come tentativo di stabilire la
libertà religiosa, la libertà di filosofare all’interno dello Stato e la
necessità della sottomissione della religione alle leggi dello Stato. Di fronte
ai sempre più feroci conflitti religiosi, cui assisteva con i propri occhi, di
fronte al fanatismo, di cui egli stesso era vittima, Spinoza si domanda per
quale ragione una religione che predica l’amore per il prossimo provochi
intolleranza, odio e guerre, e per quale motivo il popolo sia spinto ad agire
tanto facilmente da credenze irrazionali e superstizioni. Benché pubblicato
anonimo e con luogo e data di edizione falsi, il Trattato sarà ben presto attribuito a Spinoza, che
si attirerà, in modo pressoché unanime, l’avversione di tutte le confessioni
religiose presenti in Olanda: “pochi libri susciteranno altrettante
refutazioni, anatemi, insulti e maledizioni: ebrei, cattolici, calvinisti e
luterani, tutti i circoli benpensanti, i cartesiani stessi, rivaleggiano in
denunce”[9].
Per evitare ulteriori difficoltà, Spinoza cercò di evitare che il suo scritto venisse
tradotto in olandese (verrà infatti tradotto solo nel 1693).
Per
quel che concerne l’opera più celebre di Spinoza, ossia l’Ethica
ordo geometrico demonstrata, si può
affermare, seguendo l’epistolario, che si trattò di un lavoro che ebbe una lunga
gestazione e a cui Spinoza cominciò a dedicarsi sin dal 1663. Spinoza rivedrà
in modo continuo l’Etica, che risulta
conclusa nella sua forma definitiva nell’agosto 1675. Ma l’opera non vedrà la
luce, vista l’ostilità che il clero calvinista e le autorità civili nutrivano
verso Spinoza, sin dai tempi della pubblicazione del TTP. In una lettera a H.
Oldenburg del 1675 (Ep. 21, G LXVIII), Spinoza spiega i motivi che lo hanno
indotto a sospendere la pubblicazione dell’Etica: “Mentre preparavo la stampa, ecco spargersi ovunque la voce che era
in tipografia un mio libro su Dio, e che in esso tentavo di dimostrare che non
ne esiste nessuno: voce che era creduta da tutto o quasi. Alcuni teologi […]
colsero questa occasione per accusarmi di fronte al principe e ai magistrati;
alcuni sciocchi cartesiani, poiché corre voce che siano dalla mia parte, per
rimuovere da loro questa fama non la smettevano di esecrare le mie opinioni e i
miei scritti […] Sapute queste cose da persone degne di fece […] decisi allora
di rimandare l’edizione che preparavo, almeno fino a quando potessi scorgere
dove la faccenda andasse a parare”[10].
Per
tornare alla vita di Spinoza, si può affermare che il filosofo, sconvolto dal
barbaro assassinio del Gran Pensionario Jan de Witt, sostenitore della
repubblica e dall’ascesa di Guglielmo d’Orange, sostenuto dal clero calvinista,
ormai isolato nel clima politico difficile dell’Olanda di quel periodo e già
malato di tisi, dovette soffrire molto; egli tuttavia non rimase solo nemmeno
in questi ultimi turbolenti anni, perché ricevette le visite di alcuni uomini
illustri, come quella di Leibniz del novembre 1676[11].
In
questo periodo turbolento, probabilmente Spinoza si domandava spesso come fosse
potuto accadere che una libera repubblica fosse stata distrutta, perché
l’aristocrazia commerciale avesse fallito e soprattutto quale fosse il modo per
rendere il popolo una collettività di uomini liberi e non una congerie di
schiavi pronta ad asservirsi al tiranno di turno. Questi interrogativi lo
indussero a intraprendere la composizione del Trattato
politico, opera che non porterà a
termine, perché la morte per tisi lo coglierà all’Aja, nella casa del pittore
Hendrik van der Spyck (dove alloggiava sin dal 1671), il 21 febbraio 1677[12]: “Pochi filosofi realizzarono, come
Spinoza, un accordo così perfetto tra la dottrina e la vita. I suoi biografi ricordano
con parole commosse la sua semplicità di vita, il suo disinteresse, la sua
dedizione completa alla verità. Passò la vita in tranquilla solitudine,
indifferente alla fama, mite, sereno, senza orgoglio e tuttavia ben conscio del
valore del suo pensiero. Forse nessuno, scrive di lui Renan, ha veduto Dio più
da vicino” [13].
Benché
abbia una struttura all’apparenza complessa e di difficile lettura, composta
com’è da definizioni, assiomi, proposizioni, dimostrazioni, scolii e corollari,
l’Etica è un testo meno ostico di quel che si
pensi. Non è certamente un’opera di agevole lettura, soprattutto per chi ha
scarsa familiarità con il lessico filosofico. Ma il lettore imparerà subito ad
apprezzare che la struttura geometrica dell’opera – già evidente dal titolo,
che recita appunto Ethica, ordine geometrico demonstrata – non è un semplice rivestimento
superficiale, ma riflette il legame stretto tra i suoi contenuti. Tale
struttura, infatti, con i suoi nessi logici e necessari, non fa altro che
rispecchiare quella dei nessi causali e necessari dell’universo.
L’Etica è un’opera impegnativa, perché le argomentazioni di
Spinoza sono serrate, ma è anche un’opera per certi aspetti “aperta”, che si
costruisce durante l’esposizione. Soprattutto
nelle ultime due parti, essa dona al lettore un messaggio filosofico e morale
alto e limpido. La sua critica argomentata contro le superstizioni, le false
credenze, la sua lotta contro la mortifera diade speranza-paura, il suo appello
alla libertà e all’immanenza del divino nell’umano, sono temi sempre attuali e
affascinanti, del tutto lontani, peraltro, dalle false credenze e dalle
inautentiche consolazioni: “La beatitudine spinoziana è più umana della
beatitudine cristiana, perché non asciuga le lacrime. Il dolore, questa
dimensione della vita umana che è al tempo stesso la più intima e la più
comune, non perde in Spinoza – grazie anche ai suoi silenzi – niente di quel
che ha di violento e di sordo: le parole non colmano le sue voragini, la
filosofia non lo consola” [14].
Insomma,
Spinoza rimane un filosofo “per pochi” ma che affascina da sempre i “non
filosofi”. Il suo pensiero accompagna costantemente la modernità, la influenza,
la costruisce e decostruisce, ma in una posizione leggermene marginale,
rimanendo sempre in parte “inattuale” e, forse proprio per questo, affascinante
e attraente. Spinoza è “perciò un autore ‘difficile’. Eppure, allo stesso tempo,
Spinoza è il filosofo che si rivolge di più ai non filosofi, capace di
provocare un’intensa comprensione non-filosofica. Un pensiero per pochi, ma
anche, se non proprio per tutti, una filosofia pur sempre rivolta a tutti. Se
da un lato la storia insegna che pochi la intesero, dall’altro, è pur vero che
a Spinoza pensarono molti scrittori, poeti, artisti che in senso stretto
filosofi non furono” [15].
[1] Cfr.
J. Colerus (J. Kohler) – J. Maximilien J. L., Le vite di Spinoza (1705), a cura di R. Bordoli, prefazione di F.
Mignini, Quodlibet, Macerata 1994, cfr. inoltre S. Nadler, Baruch Spinoza e l’Olanda del Seicento, Einaudi, Torino 2002.
Estesa è la cronologia in B. Spinoza, Opere,
a cura di F. Mignini e O. Proietti, Mondadori, Milano 2007, pp. LXXIII-CXII.
Cfr. altresì G.
Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica,
a cura di M. Senaldi, Ortothes Edizioni, Napoli 2016, pp. 7-17.
[2] Il testo completo della sentenza è
riportato in S. Nadler, L’eresia di
Spinoza. L’immortalità e lo spirito ebraico, a cura di D. Tarizzo, Einaudi,
Torino 2005, p. 4. Nadler tratta diffusamente dei motivi per i quali la
comunità ebraica adottò un provvedimento tanto severo verso Spinoza.
[4] M.
Stuart, Il cortigiano e l’eretico.
Leibniz, Spinoza e il destino di Dio nel mondo moderno, Feltrinelli, Milano
2008, pp. 94-96.
[6] Cfr. B. Spinoza, Opere, cit., pp. LXXXV-CXII, nonché
“Introduzione” alla traduzione del TIE, pp. 5-19. Cfr. altresì F. Mignini, Introduzione a Spinoza, Laterza,
Roma-Bari 1983, pp. 6-13.
[8] Cfr. B. Spinoza, Korte Verhandeling van God, de Mensch, en
deszelvs Welstand. Breve trattato su Dio,
l’uomo, e il suo Bene,
introduzione, traduzione e commento di F. Mignini, Japadre Editore, L’Aquila
1986.
[11]
Sul
controverso rapporto Spinoza/Leibniz, cfr. V. Morfino, (a
cura di), Spinoza contra Leibniz.
Documenti di uno scontro intellettuale (1676-1678), Unicopli, Milano 1994.
Sull’incontro tra i due, cfr. M. Stuart, Il
cortigiano e l’eretico. Leibniz, Spinoza e il destino di Dio nel mondo moderno,
cit. pp. 167-178. Esistono purtroppo solo due lettere del rapporto
Spinoza-Leibniz, sono la n. 62 (G XLV) e la n. 63 (G XLVI).
[12] Cfr.
J. Colerus – J. M. Lucas, Le vite di
Spinoza, cit., pp. 101-105, dove vengono narrate le ultime ore di vita del
filosofo. Colerus ne parla diffusamente nelle pagine sopraddette. Più asciutta
la prefazione alle OP a cura di J. Jelles (1677) che scrive: “[prese dimora]
infine a l’Aja, dove il ventuno febbraio di quest’anno, all’età di
quarantaquattro anni, è morto di una malattia chiamata tisi” (cfr. J. Colerus –
J. M. Lucas, Le vite di Spinoza, cit.,
p. 113).
[15] L. Vinciguerra, Spinoza, Carocci, Roma 2015, p. 20.
Celebri sono per esempio le due poesie che Jorge Luis Borges dedicò a Spinoza,
una intitolata Spinoza e un’altra Baruch Spinoza.
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