domenica 24 marzo 2019

Una riflessione su Baruch Spinoza

Forse è frutto di follia voler provare a commentare l'Etica di B. Spinoza. Ma ci voglio provare ugualmente. Questa che segue è l'introduzione al commento suddetto.



La vita di Baruch Spinoza (1632-1677)[1] trascorse interamente nei Paesi Bassi in un’epoca di aspri contrasti religiosi e politici. La sua condizione di ebreo allontanato dalla sinagoga di Amsterdam, il 27 luglio 1656, e “maledetto” dalla comunità ebraica che lo esecrava con parole durissime[2], ha trasmesso l’immagine di un autore difensore della libertà religiosa e sostenitore, nelle opere politiche, della forma di governo democratica.
Sebbene Spinoza abbia condotto una vita piuttosto ritirata, svolgendo il mestiere di molatore di lenti dopo aver abbandonato Amsterdam nel 1656 e l’attività commerciale ereditata dal padre, non è stato un uomo solo. Egli infatti, in virtù della sua produzione filosofica, ebbe una cerchia di amici e corrispondenti che discuteva le opere che egli scriveva e faceva circolare manoscritte. Il suo amico Simon De Vries, in una lettera del 24 febbraio 1663, descrive il funzionamento del “circolo” dedicato alla discussione degli scritti spinoziani: “Per quanto concerne il circolo, il lavoro è organizzato in questo modo: uno (ma a turno) legge, dà una spiegazione secondo la sua comprensione e dimostra tutto secondo la serie e l’ordine delle tue proposizioni. Quando accade che l’uno non possa soddisfare l’altro, abbiamo ritenuto importante annotare la questione e scriverti, affinché, se è possibile, ci sia resa più chiara e, sotto la tua guida, possiamo difendere la verità contro quelli che sono religiosi e cristiani in modo superstizioso, resistendo all’assalto di tutto il mondo” [3].
Spinoza riceveva critiche e osservazioni dai suoi lettori e, nelle risposte che egli inviava, si trovano utili chiarimenti sul suo pensiero. Naturalmente, stante la natura “eversiva” delle sue idee filosofiche e politiche, egli si attirò anche tenaci e durature ostilità, non solo in senso alla comunità ebraica olandese, ma anche all’interno di quella cristiana e calvinista. Egli infatti era inviso ai rappresentati delle diverse confessioni religiose che in quel momento storico vivevano forti contrasti, sia interni che esterni. L’accusa di “ateismo” è stata quella che Spinoza ha subito più di frequente e contro la quale, mentre era in vita, si è battuto con tenacia, giungendo a confessare a un suo corrispondente, Henry Oldenburg, di voler scrivere il Trattato teologico-politico proprio per dimostrare di non esser ateo. Vista la reazione veemente delle autorità religiose (e in seguito anche civili) olandesi alla pubblicazione del TTP, si può affermare che Spinoza mancò lo scopo[4].
D’altra parte, il pensiero di Spinoza, di cui l’Etica rappresenta la più matura esposizione, è, “nell’età moderna, il documento filosofico più sistematico e radicale di un modello alternativo alla civiltà fondata sulla teologia delle tre grandi religioni rivelate… [l’Etica] si presenta espressamente quale tentativo di demitizzazione e di inveramento dei contenuti pratici di quelle religioni, svelando la loro impotenza a costituirsi quali interpreti e testimoni di verità” [5].
Spinoza durante la sua esistenza scrisse diverse opere, che fece circolare manoscritte tra i suoi amici e corrispondenti, ma in vita pubblicò solo due libri: I principi della filosofia di Cartesio, seguiti da un’appendice intitolata Riflessioni metafisiche (Amsterdam 1663) e il Trattato teologico-politico (edito nel 1669, ma pubblicato anonimo e con luogo di edizione falso). Le altre opere vennero tutte pubblicate (tranne il KV) nella Opera Posthuma, Quorum series post Praefationem exhibetur, edita nel novembre 1677 a cura di L. Meijer.
Secondo lo studioso italiano Filippo Mignini[6], la prima opera a essere scritta è stata il Trattato sull’emendazione dell’intelletto, rimasto incompiuto, composto poco dopo l’espulsione dalla comunità ebraica di Amsterdam, nel periodo in cui Spinoza frequentava le lezioni di Franciscus Van der Enden[7]. Sempre secondo Mignini, la seconda opera scritta da Spinoza è la Korte Verhandeling van God, de Mensch en deszelvs Welstand (Breve trattato su Dio, l’uomo e il suo bene), composto prima in latino e in seguito tradotto in olandese. Il KV non è stato incluso nell’Opera Posthuma del 1677, perché è stato scoperto solo nel 1862 da Jan van Vloten. Dopo un dibattito filologico, ancora grazie alle ricerche di Mignini[8], il KV è stato riconosciuto come un’opera autentica di Spinoza. Esso è oggi considerato un testo sistematico e organico, perché contiene un’esposizione del pensiero di Spinoza che per diversi aspetti anticipa le argomentazioni dell’Etica. Da alcuni accenni che si trovano nell’epistolario (lettera 6 a E. Oldenburg, G VI), il KV risulta in composizione nel 1661.
La stesura del Trattato teologico-politico, cominciata nel 1665 interrompendo la redazione dell’Etica, nasce come tentativo di stabilire la libertà religiosa, la libertà di filosofare all’interno dello Stato e la necessità della sottomissione della religione alle leggi dello Stato. Di fronte ai sempre più feroci conflitti religiosi, cui assisteva con i propri occhi, di fronte al fanatismo, di cui egli stesso era vittima, Spinoza si domanda per quale ragione una religione che predica l’amore per il prossimo provochi intolleranza, odio e guerre, e per quale motivo il popolo sia spinto ad agire tanto facilmente da credenze irrazionali e superstizioni. Benché pubblicato anonimo e con luogo e data di edizione falsi, il Trattato sarà ben presto attribuito a Spinoza, che si attirerà, in modo pressoché unanime, l’avversione di tutte le confessioni religiose presenti in Olanda: “pochi libri susciteranno altrettante refutazioni, anatemi, insulti e maledizioni: ebrei, cattolici, calvinisti e luterani, tutti i circoli benpensanti, i cartesiani stessi, rivaleggiano in denunce”[9]. Per evitare ulteriori difficoltà, Spinoza cercò di evitare che il suo scritto venisse tradotto in olandese (verrà infatti tradotto solo nel 1693).
Per quel che concerne l’opera più celebre di Spinoza, ossia l’Ethica ordo geometrico demonstrata, si può affermare, seguendo l’epistolario, che si trattò di un lavoro che ebbe una lunga gestazione e a cui Spinoza cominciò a dedicarsi sin dal 1663. Spinoza rivedrà in modo continuo l’Etica, che risulta conclusa nella sua forma definitiva nell’agosto 1675. Ma l’opera non vedrà la luce, vista l’ostilità che il clero calvinista e le autorità civili nutrivano verso Spinoza, sin dai tempi della pubblicazione del TTP. In una lettera a H. Oldenburg del 1675 (Ep. 21, G LXVIII), Spinoza spiega i motivi che lo hanno indotto a sospendere la pubblicazione dell’Etica: “Mentre preparavo la stampa, ecco spargersi ovunque la voce che era in tipografia un mio libro su Dio, e che in esso tentavo di dimostrare che non ne esiste nessuno: voce che era creduta da tutto o quasi. Alcuni teologi […] colsero questa occasione per accusarmi di fronte al principe e ai magistrati; alcuni sciocchi cartesiani, poiché corre voce che siano dalla mia parte, per rimuovere da loro questa fama non la smettevano di esecrare le mie opinioni e i miei scritti […] Sapute queste cose da persone degne di fece […] decisi allora di rimandare l’edizione che preparavo, almeno fino a quando potessi scorgere dove la faccenda andasse a parare”[10].
Per tornare alla vita di Spinoza, si può affermare che il filosofo, sconvolto dal barbaro assassinio del Gran Pensionario Jan de Witt, sostenitore della repubblica e dall’ascesa di Guglielmo d’Orange, sostenuto dal clero calvinista, ormai isolato nel clima politico difficile dell’Olanda di quel periodo e già malato di tisi, dovette soffrire molto; egli tuttavia non rimase solo nemmeno in questi ultimi turbolenti anni, perché ricevette le visite di alcuni uomini illustri, come quella di Leibniz del novembre 1676[11].
In questo periodo turbolento, probabilmente Spinoza si domandava spesso come fosse potuto accadere che una libera repubblica fosse stata distrutta, perché l’aristocrazia commerciale avesse fallito e soprattutto quale fosse il modo per rendere il popolo una collettività di uomini liberi e non una congerie di schiavi pronta ad asservirsi al tiranno di turno. Questi interrogativi lo indussero a intraprendere la composizione del Trattato politico, opera che non porterà a termine, perché la morte per tisi lo coglierà all’Aja, nella casa del pittore Hendrik van der Spyck (dove alloggiava sin dal 1671), il 21 febbraio 1677[12]: “Pochi filosofi realizzarono, come Spinoza, un accordo così perfetto tra la dottrina e la vita. I suoi biografi ricordano con parole commosse la sua semplicità di vita, il suo disinteresse, la sua dedizione completa alla verità. Passò la vita in tranquilla solitudine, indifferente alla fama, mite, sereno, senza orgoglio e tuttavia ben conscio del valore del suo pensiero. Forse nessuno, scrive di lui Renan, ha veduto Dio più da vicino” [13].
Benché abbia una struttura all’apparenza complessa e di difficile lettura, composta com’è da definizioni, assiomi, proposizioni, dimostrazioni, scolii e corollari, l’Etica è un testo meno ostico di quel che si pensi. Non è certamente un’opera di agevole lettura, soprattutto per chi ha scarsa familiarità con il lessico filosofico. Ma il lettore imparerà subito ad apprezzare che la struttura geometrica dell’opera – già evidente dal titolo, che recita appunto Ethica, ordine geometrico demonstrata – non è un semplice rivestimento superficiale, ma riflette il legame stretto tra i suoi contenuti. Tale struttura, infatti, con i suoi nessi logici e necessari, non fa altro che rispecchiare quella dei nessi causali e necessari dell’universo.
L’Etica è un’opera impegnativa, perché le argomentazioni di Spinoza sono serrate, ma è anche un’opera per certi aspetti “aperta”, che si costruisce durante l’esposizione. Soprattutto nelle ultime due parti, essa dona al lettore un messaggio filosofico e morale alto e limpido. La sua critica argomentata contro le superstizioni, le false credenze, la sua lotta contro la mortifera diade speranza-paura, il suo appello alla libertà e all’immanenza del divino nell’umano, sono temi sempre attuali e affascinanti, del tutto lontani, peraltro, dalle false credenze e dalle inautentiche consolazioni: “La beatitudine spinoziana è più umana della beatitudine cristiana, perché non asciuga le lacrime. Il dolore, questa dimensione della vita umana che è al tempo stesso la più intima e la più comune, non perde in Spinoza – grazie anche ai suoi silenzi – niente di quel che ha di violento e di sordo: le parole non colmano le sue voragini, la filosofia non lo consola” [14].
Insomma, Spinoza rimane un filosofo “per pochi” ma che affascina da sempre i “non filosofi”. Il suo pensiero accompagna costantemente la modernità, la influenza, la costruisce e decostruisce, ma in una posizione leggermene marginale, rimanendo sempre in parte “inattuale” e, forse proprio per questo, affascinante e attraente. Spinoza è “perciò un autore ‘difficile’. Eppure, allo stesso tempo, Spinoza è il filosofo che si rivolge di più ai non filosofi, capace di provocare un’intensa comprensione non-filosofica. Un pensiero per pochi, ma anche, se non proprio per tutti, una filosofia pur sempre rivolta a tutti. Se da un lato la storia insegna che pochi la intesero, dall’altro, è pur vero che a Spinoza pensarono molti scrittori, poeti, artisti che in senso stretto filosofi non furono” [15].




[1] Cfr. J. Colerus (J. Kohler) – J. Maximilien J. L., Le vite di Spinoza (1705), a cura di R. Bordoli, prefazione di F. Mignini, Quodlibet, Macerata 1994, cfr. inoltre S. Nadler, Baruch Spinoza e l’Olanda del Seicento, Einaudi, Torino 2002. Estesa è la cronologia in B. Spinoza, Opere, a cura di F. Mignini e O. Proietti, Mondadori, Milano 2007, pp. LXXIII-CXII. Cfr. altresì G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, a cura di M. Senaldi, Ortothes Edizioni, Napoli 2016, pp. 7-17.
[2] Il testo completo della sentenza è riportato in S. Nadler, L’eresia di Spinoza. L’immortalità e lo spirito ebraico, a cura di D. Tarizzo, Einaudi, Torino 2005, p. 4. Nadler tratta diffusamente dei motivi per i quali la comunità ebraica adottò un provvedimento tanto severo verso Spinoza.
[3] Lettera 29 da S. De Vries, (G VIII), in B. Spinoza, Opere, cit., p. 1314.
[4] M. Stuart, Il cortigiano e l’eretico. Leibniz, Spinoza e il destino di Dio nel mondo moderno, Feltrinelli, Milano 2008, pp. 94-96.
[5] F. Mignini, Etica. Introduzione alla lettura, Carocci, Roma 2015, p. 194.
[6] Cfr. B. Spinoza, Opere, cit., pp. LXXXV-CXII, nonché “Introduzione” alla traduzione del TIE, pp. 5-19. Cfr. altresì F. Mignini, Introduzione a Spinoza, Laterza, Roma-Bari 1983, pp. 6-13.
[7] Cfr. S. Nadler, Baruch Spinoza e l’Olanda del Seicento, cit., pp. 118-127.
[8] Cfr. B. Spinoza, Korte Verhandeling van God, de Mensch, en deszelvs Welstand. Breve trattato su Dio, l’uomo, e il suo Bene, introduzione, traduzione e commento di F. Mignini, Japadre Editore, L’Aquila 1986.
[9] G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, cit., p. 13.
[10] B. Spinoza, Opere, cit., pp. 1299-1300.
[11] Sul controverso rapporto Spinoza/Leibniz, cfr. V. Morfino, (a cura di), Spinoza contra Leibniz. Documenti di uno scontro intellettuale (1676-1678), Unicopli, Milano 1994. Sull’incontro tra i due, cfr. M. Stuart, Il cortigiano e l’eretico. Leibniz, Spinoza e il destino di Dio nel mondo moderno, cit. pp. 167-178. Esistono purtroppo solo due lettere del rapporto Spinoza-Leibniz, sono la n. 62 (G XLV) e la n. 63 (G XLVI).
[12] Cfr. J. Colerus – J. M. Lucas, Le vite di Spinoza, cit., pp. 101-105, dove vengono narrate le ultime ore di vita del filosofo. Colerus ne parla diffusamente nelle pagine sopraddette. Più asciutta la prefazione alle OP a cura di J. Jelles (1677) che scrive: “[prese dimora] infine a l’Aja, dove il ventuno febbraio di quest’anno, all’età di quarantaquattro anni, è morto di una malattia chiamata tisi” (cfr. J. Colerus – J. M. Lucas, Le vite di Spinoza, cit., p. 113).
[13] B. Spinoza, Etica, esposta e commentata da Piero Martinetti, Paravia, Torino 1941, p. X.
[14] P. Cristofolini, Spinoza edonista, ETS, Pisa 2002, p. 86.
[15] L. Vinciguerra, Spinoza, Carocci, Roma 2015, p. 20. Celebri sono per esempio le due poesie che Jorge Luis Borges dedicò a Spinoza, una intitolata Spinoza e un’altra Baruch Spinoza.

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