Dall’introduzione:
“Oggi
il libro non è più la metafora fondamentale dell'epoca; il suo posto è stato
preso dallo schermo. Il testo alfabetico non è che uno dei tanti modi di
codificare qualcosa che viene ora chiamato 'messaggio'. Vista
retrospettivamente, la combinazione di quegli elementi che da Gutenberg al
transistor aveva nutrito la cultura del libro ci appare come una singolarità di
un periodo unico, caratteristica di un’unica società, quella occidentale.
Questo, nonostante la rivoluzione dei tascabili, il solenne ritorno delle
letture pubbliche di poesia e la fioritura talora magnifica di edizioni
alternative realizzate in proprio” (pp. 3-4).
1)
La lettura,
via alla sapienza
Auctoritas
Il
celebre incipit del Didascalicon di
Ugo di San Vittore, scritto attorno al 1128, recita: “Di tutte le cose da
ricercare, la prima è la sapienza, in cui risiede la forma del bene perfetto”.
Questa
affermazione si collega alla convinzione pedagogica (risalente a Varrone e poi
Quintiliano) secondo cui il maestro deve condurre l’allievo a cogliere il bene,
che a sua volta condurrà alla saggezza. In Ugo c’è un riferimento ad Agostino,
per il quale la sapienza era Cristo. Per Ugo Cristo è il rimedio, la forma, ciò
che salva l’uomo dalle tenebre. Ma è Dio ciò cui tende la sapienza e che dà la
salvezza. Questa salvezza, questa ascesa a Dio è possibile grazie alla
sapienza, raggiungibile solo tramite la lettura e la comprensione del testo. I
filosofi a cui Ugo fa riferimento (Boezio prima ancora che Agostino, perché nel
De Consolatione scrive: “Di tutte le
cose da ricercare, la prima e la ragione per la quale si ricercano tutte le
altre è il Bene … in cui risiede la sostanza di Dio”) sono delle auctoritates; essi “insegnavano che lo
scopo dell’apprendimento è la sapienza in quanto bene perfetto, e per i
cristiani è verità rivelata che questo bene perfetto consiste nella Parola di
Dio fatta Carne” (p. 13).
Studium
Lo
“studio” per Ugo non riguardava una parte limitata dell’esistenza, ma
concerneva un’attività che durava tutta la vita. La sua opera concerne la
divisione delle discipline del suo tempo. “Ma il punto per lui centrale è
quello delle virtù che si richiedono per leggere e che dalla lettura vengono
sviluppate” (p. 16).
Disciplina
Prima
regola per il lettore: l’umiltà.
Inoltre, egli:
1)
Non deve disprezzare alcun sapere né alcuno
scritto.
2)
Non deve vergognarsi di imparare da chiunque.
3)
Una volta acquisito il sapere, non per questo deve
trattare qualcuno dall’alto in basso.
Fondamentale
per la disciplina è una vita interiore ed esteriore tranquilla; è infine
fondamentale non correre dietro al superfluo. “Il lettore è uno che si è
volontariamente esiliato per concentrare tutta la propria attenzione e il
proprio desiderio sulla sapienza, che diventa così la casa sospirata” (p. 17).
Sapientia
Per
Ugo “la sapienza illumina l’uomo perché egli possa riconoscersi”. La luce è
qualcosa che conduce l’uomo a uno stato di ardore, di conoscenza superiore.
Lumen
La
luce per i pittori medievali appartiene ai codici che essi creano; più tardi i
pittori creeranno quadri in cui le ombre svolgono un ruolo primario, mentre la
luce mostra cosa c’è perché viene dall’esterno. Nei codici medievali la luce
invece è immanente. Per Ugo l’occhio splende perché tale splendore gli consente
di conoscere gli oggetti, secondo un parallelismo tra attività corporee e
attività dell’anima[1]
. “La lettura, per Ugo, è un rimedio perché riporta la luce in un mondo da cui
il peccato l’aveva bandita. Secondo Ugo Adamo ed Eva furono creati con occhi
così luminosi che potevano contemplare costantemente ciò che oggi si deve
ricercare con tanta pena” (p. 20)[2].
La
pagina come specchio
Per
Ugo scoprire se stesso significa scoprire il proprio “io”, il proprio “sé”.
Questa è una novità rispetto alla filosofia che vieni prima di lui, compresa
quella greca. Perché fino ad allora non esisteva un’accezione analoga al nostro
concetto di “persona”, né il termine “io” possedeva la rilevanza che possiede
oggi. Con Ugo le cose cambiano. “Nella pagine il lettore riconoscerà se stesso
non quale gli altri lo vedono o per i titoli o i soprannomi con cui lo
chiamano, ma guardandosi con i propri occhi” (p. 22).
L’io
emergente
Ugo
invita il lettore a esiliarsi, a lasciare la terra natia, non per dirigersi in
un logo fisico diverso, bensì per accedere alla Sapienza. La lettura diviene
dunque un viaggio verso se stessi, verso la propria persona, verso l’illuminazione
della sapienza. Per questo la conoscenza ha un forte carattere visuale.
“L’illuminazione per lui interessa tre paia di occhi: gli occhi della carne,
che scoprono le cose materiali …; gli occhi della mente, che contemplano l’io e
il mondo che esso rispecchia; e infine gli occhi del cuore, che penetrano fino
al livello più vicino a Dio nella Luce della Sapienza” (p. 25).
Amicitia
Nel
percorso verso il paradiso della sapienza che è la lettura, fondamentale è
l’amicizia. “L’amico è paradisus homo,
la sua sola presenza è beatifica; l’amicizia[3]
è un giardino, un albero di vita, ali per il volo verso Dio” (p. 26).
2)
Ordine,
memoria, storia
Non
disprezzare mai nulla
“Quando
avrai fatto il pieno di cose piccole, potrai provare senza rischio le grandi”
(p. 27).
Ordo
Il
lettore dovrà procedere con ordine. Ma non in senso metodologico, cioè non
dovrà costringere le cose che legge in categorie predefinite; saranno invece le
cose che legge che lo faranno entrare in un loro ordine. “Ricercare la sapienza
è ricercare i simboli dell’ordine che si incontrano nella pagina” (p. 28). Per
i Padri della Chiesa i simboli possiedono una realtà; per Ugo essi sono “fatti
ed eventi”. Il lettore deve comprendere l’ordine cosmico che è assai diverso
dall’ordine storico in cui le cose accadono: “tutte le cose e tutti gli
avvenimenti di questo mondo traggono il loro significato dal posto che occupano
nella storia della creazione e della salvezza” (p. 30) [4].
Artes
Ugo
naturalmente dedica grande importanza allo studio delle sette arti liberali.
Esse sono essenziali per raggiungere la sapienza. Inoltre, lo studente migliore
è colui il quale ha una memoria ben addestrata, indispensabile premessa per una
proficua lettura.
Lo
scrigno nel cuore del lettore
Le
cose che si conoscono diventano patrimonio della memoria del lettore, che
imparar a inserirli in serie mnemoniche per rammentarli a dovere. Dice Ugo: “la
sapienza è un tesoro e il luogo in cui conservarlo è il tuo cuore. Quando
apprendi la sapienza, tu raccogli tesori preziosi; sono tesori immortali, che
non deperiscono né perdono il loro splendore” (p. 32).
La
storia della memoria
L’addestramento
mnemonico è fondamentale per una lettura efficace. Con Ugo la memoria passa da
un modello statico-architettonico (simile a quello che fu definito nelle scuole
di retorica della Grecia classica) a uno storico-relazione, legato al ruolo
delle parole come segni delle cose; l’alfabeto consente infatti di rievocare
delle parole senza conoscerne necessariamente i concetti.
La
tecnica dell’avvocato al servizio della preghiera
Nell’antica
Grecia e poi a Roma lo sviluppo dell’arte della retorica andò di pari passo con
quello dell’arte della memoria. Il virtuoso prendeva appunti mentali, creando
dentro di sé una sorta di topologia dei concetti, i quali potevano essere
ripescati quando era necessario. Per Quintiliano questi appunti mentali si
dovevano prendere anche leggendo, ascoltando la propria voce, scorrendo il
testo con una sorta di borbottio, ritornando continuamente sullo stesso passo.
La concezione del rapporto tra lettura e memoria tenuta da Ugo è simile a
questa, e si distacca dalla concezione patristica, secondo cui la lettura del
testo sacro non necessitava di una mnemotecnica per mostrarsi fruttifera e
fissare i concetti: “Tra le arti oratorie la mnemotecnica non serviva che in
misura limitata a un vescovo che avesse da predicare: era la Bibbia a dargli il
contesto in cui situare ogni conoscenza e riflessione” (p. 42).
L’addestramento
della memoria come preludio alla sapienza
Ancora
all’epoca di Ugo di San Vittore, era viva l’esigenza di ordinare l’immenso
patrimonio di conoscenze, in modo da poterle reperire agevolmente nella propria
memoria. Ugo vuole aiutare a leggere la propria via verso la sapienza.
La
historia come fondazione
L’arte
della memoria è posta a servizio della historia.
Ciò che le Sacre scritture descrivono sono fatti ed eventi che costituiscono la
storia del mondo, di ciò che è stato e di ciò che sarà fino alla fine dei
tempi. Nulla ha senso se non viene inserito nell’ordo del tempo. “L’attività che Ugo denomina “lettura’ fa da anello
di congiunzione tra questa Chiesa macroscopica e il microcosmo dell’intimità
personale del lettore” (p. 45)[5].
I fatti della historia possiedono
anche un significato allegorico e morale, oltre a quello letterale.
L’incarnazione
della sapienza
“L’esegesi
implica tre tappe: prima, la lettura letterale con la quale il senso immediato,
materiale, della Sacra Scrittura viene opportunamente fissato nell'arca
dell'anima; seconda, l'interpretazione allegorica; terza, il riconoscimento
personale da parte del lettore che anche lui ha il suo posto entro questo
ordine, e che tale "ordine" è temporale. “Innanzitutto, chi studia la
Sacra Scrittura deve cercare quale sia l'ordine [appropriato] tra la storia, l’allegoria
e la tropologia. Deve chiedersi quale di queste tre preceda l'altra nell'ordine
dello studio”.
Fin
dai suoi primi scritti Ugo manifesta irritazione nei confronti di coloro che “spremono
le mammelle della Scrittura” per trarne il senso allegorico prima di avere
saldamente impresso nella memoria tutti i dettagli storici. Essendo indubbio
che il senso mistico della Scrittura non si può cogliere se prima non se ne sia
ben stabilito il senso letterale, io non posso che stupirmi dell'impudenza di
coloro che fanno mostra di insegnare significati allegorici quando ancora
ignorano il senso letterale.
Nel
Didascalicon dice rabbiosamente di
questi mitomani: "La scienza di costoro è scienza d'asini. Non imitare
gente di questa fatta". E rivolto direttamente al lettore:
“Prima
impara la storia e manda diligentemente a memoria la verità dei fatti così come
si sono svolti, passando in rassegna dal principio alla fine gli eventi che si
sono prodotti, quando, dove e a opera di chi […] Non credo che tu possa
divenire competente quanto all’allegoria se non avrai prima acquisito le basi
storiche”.
Ugo
elabora la dottrina del triplice senso della Bibbia in forma tale che l'atto di
leggere diviene un atto di culto, al cui centro sta l'incarnazione della
sapienza:
“Se
la sapienza di Dio non si conosce prima corporalmente non si può essere
Illuminati per la sua contemplazione spirituale. Perciò non devi mai spregiare
l’aspetto umile con cui la parola di Dio ti perviene. Sarà proprio questa
umiltà a illuminarti. Ugo è consapevole di ciò che implica corporaliter: “preso dal limo della terra nell’atto della creazione”.
“La
storia è la narrazione delle cose compiute, che si trova nel senso letterale;
l’allegoria si ha quando, attraverso la cosa di cui si parla, viene significato
qualcos’altro relativo al passato, al presente o al futuro; e la tropologia
quando, attraverso l’azione riferita, si intende qualcosa che deve essere fatto”
(p. 47).
3)
La
lettura monastica
Meditazione
Alla
lettura, come attività monastica, sono necessarie tre cose: la dote naturale, ossia la capacità di
“capire facilmente ciò che [si] ascolta, e di tenere bene a mente ciò che [il
lettore] ha capito”. L’esercizio,
ovvero il coltivare assiduamente la suddetta dote naturale; infine la disciplina, cioè l’accordare il
comportamento morale col proprio sapere.
L’educazione
del lettore, sin dall’infanzia, è un invito a passare dalla lettura della
historia all’anagogica, cioè a immedesimarsi con la historia quale immagine
della sapienza. Tale immedesimazione, che ha come punto di partenza la cogitatio, “un pensiero che procede
sorretto da un tracciato”, si realizza compiutamente nella meditazione che “non è vincolata da nessuna delle regole … della
lettura. Ama infatti vagare per spazi senza limiti, dove fissa il suo libero
sguardo sulla contemplazione della verità, collegando ora queste ora quelle
cause delle cose, o ancora penetrando nel profondo, senza lasciare nulla nel
dubbio, nulla nell’oscurità. L’inizio della scienza [principium doctrinae] sta dunque nella lettura, ma il suo compimento
sta nella meditazione” (DT, III, 10), (p. 50)
Comunità
di borbottanti
La
lettura medievale di epoca monastica è un’attività corporea, condotta leggendo
le parole, masticandole quasi nella propria bocca tramite il borbottio,
trasmettendole all’orecchio, esteriore e interiore. Oggi abbiamo una diversa
concezione della lettura: la pagina è come una lastra segnata d’inchiostro. Per
Ugo, invece, le righe della pagina hanno un tempo, un ritmo e sono come cose
che si masticando. Spesso in quell’epoca la lettura-meditazione è paragonata al
ruminare delle mucche, cfr. S. Bernardo: “Siate animali puri, ruminanti, perché
avvenga ciò che è scritto ‘Un tesoro prezioso sta nella bocca del savio’”.
La
pagina come vigna e giardino
Quando
legge Ugo raccoglie i chicchi di uva dalla pagina[6];
nel Medioevo ma anche nell’antichità, la lettura era considerata un’attività
fisica salutare: gli infermi non potevano svolgerla, sia intesa come lettura
per se stessi, sia come lettura all’uditorio. Il verbo “leggere” ha una radice
contadina, connessa al gesto di legare i fasci di legname, gli stecchi. Per Ugo
“l’atto di leggere implica un’attività non molto diversa dalla ricerca della
legna: gli occhi devono raccogliere le lettere dell’alfabeto e legarle in
sillabe. Gli occhi sono al servizio dei polmoni, della gola e delle labbra” (p.
54).
La
lectio come modo di vivere
Per
il monaco la lettura non è una semplice attività bensì un modo di vivere che
impegna tutto il corpo, durante qualsiasi attività. “Ora et labora”, secondo la
regola di S. Benedetto. In ciò è simile alla lettura dei rabbini o al modo di
leggere la Torah degli ebrei. Da questo punto di vista, esiste solo “il” libro,
ossia il testo sacro, il quale va “mangiato”, memorizzato nella carne, imparato
legandolo a movimenti corporei. Per l’antichità classica non esisteva un unico
libro.
Otia
monastica
La
lettura è un modo per arrivare alla libertà, alla vacatio, per dedicarsi all’otium,
inteso come condizioni dell’essere libero di dedicarsi ai piaceri divini,
rifuggendo le trappole mondane (Agostino). Per Ugo tale libertà è raggiungibile
tramite la lettura, la lectio divina che
unisce il faticosa lettura del testo, che va vissuto nella propria carne, e la
tranquilla meditatio. “La lectio è e sarà sempre un inizio, la meditatio una consummatio, e tutti e due parti integranti dello studium (cfr. cap. 1). Lo studio delle
creature ci insegna a cercare il loro Creatore; poi questo Creatore provvederà
l’anima di conoscenza e la inonderà di gioia, facendo della meditazione una
delizia suprema” (p. 60).
L’estinzione
della lectio divina
All’inizio
del XIII secolo questa concezione della lectio divina tende a scomparire; ora
si fa avanti la distinzione tra la lettura per “amore”, per fede, e quella per
acquisire conoscenza. Cambiano anche i luoghi dove si legge: ci si avvicina al
modello delle università.
4)
La lectio in latino
“Gli
scolari di Ugo furono gli ultimi della loro specie, ossia gli ultimi latinisti
medievali per i quali lettura, scrittura e latino fossero un’unica cosa. Nel
corso della loro vita il latino divenne una lingua tra le altre. La generazione
studentesca successiva componeva, accanto a versi latini, poesie in volgare …
In virtù delle sue lettere romane il latino era visibilmente una delle tre
lingue sacre … Ciò che diceva era sermo,
sentito come qualcosa di diverso dalla lingua,
dall’espressione linguistica” (p. 63).
Un
monachesimo latino
Il
latino non veniva imparato come una seconda lingua, ma era parte integrante
dell’intera vita monastica; i dialetti delle zone d’origine dei novizi non
avevano forma scritta, né si potevano ancora definire “lingue” in senso
compiuto, anche perché in gran parte erano trasmesse oralmente.
Il
canto gregoriano
Appena
entrato in monastero, il novizio entrava subito in contatto con i ritmi e i
canti in latino, che imparava presto a recitare a memoria, sia nelle parole sia
nel tono. Le preghiere, i salmi, le devozioni sono recitate con una lingua
modulata, sul modello del “canto fermo”, caratterizzato dagli accenti da usare
nella lettura, che cambiavano in base al tipo di testo sacro che si leggeva.
“La celebrazione cerimoniale del libro, il latino, il canto e la recitazione
formano … un fenomeno acustico incastonato in un’architettura complessa di
ritmi, spazi e gesti” (p. 67).
Il
monopolio del latino sulle lettere
Nei
monasteri le parole latine venivano insegnate scomponendole in sillabe; lo
scolare le scriveva con la mano: “Labbra e orecchie, mani e occhi concorrono a
formare la memoria dello scolaro per quanto riguarda le parole latine” (p. 68).
Le lettere, che erano quelle del latino “classico”, per almeno 1500 anni non
servirono a trascrivere i suoni delle singole lingue parlate che andavano
formandosi, ma servivano solo a scrivere in latino. Sebbene già in epoca romana
ci fossero differenze tra il latino scritto e quello parlato, l’alfabeto rimane
immutato e, fino all’epoca di Ugo, è essenzialmente usato per scrivere il
latino. Benché si disponesse da secoli di una “tecnologia” (l’alfabeto) per
scrivere le varie lingue, essa cominciò a essere usata solo dopo il XII secolo.
Quando la lingua parlata comincia a usare l’alfabeto latino, il testo diventa
indipendente dalla pagina, quale oggetto concreto. Il discorso diventa “lingua”
e non solo sermo liturgico, quando l’alfabeto si affranca dal latino e diventa
strumento per creare e dar vita alle varie lingue.
5)
La
lettura scolastica
Il
dovere di leggere
Benché
non sia stata inventariata, esiste una prefazione al Didascalicon. In questa introduzione, secondo Ugo, coloro che sono
scarsamente dotati di intelligenza, hanno due possibilità. Cercare con
disciplina e impegno di costruirsi comunque un edificio di conoscenze oppure
trascurare, non solo le cose difficili, ma anche le minime, condannando se stessi
a una totale ignoranza. Per Ugo la lettura è un’attività morale, tanto che: “Il
non sapere deriva da pochezza; ma il disprezzo del sapere nasce da una
perversione della volontà” (p. 74). I dotati di intelligenza, però, possono
ugualmente perdersi, sia perché si lasciano distrarre troppo dagli affari
mondani e dai piaceri, sia perché annega se stesso nel negotium[7]
trascurando lo studium.
Nonostante
i magri proventi
“Lo
studium legendi … è una chiamata
rivolta a tutti, che si traduce in un dovere di apprendere. ‘Tutti’, ottusi o
intelligenti, più o meno capaci, e che sia forte o debole la volontà, diventano
meritevoli di biasimo se rifiutano di progredire nell’apprendimento” (p. 76).
Nel
monastero il rango sociale del novizio non influenzava la sua possibilità di
apprendere, che era libera e legata alle sue capacità. Ugo si rivolge piuttosto
ai cittadini di un’indaffarata città medievale, convinto, come dice la Chiesa,
che tutti gli uomini siano chiamati a imparare qualcosa di specifico
relativamente alla fede.
Il
canonico regolare edifica con la sua lectio
Nel
De institutione novitiorum, Ugo si
rivolge ai novizi che entrano nel chiostro. Mentre nel Didascalicon egli
affermava che lo studium fosse un dovere per tutti coloro che lo leggono, in
quest’opera pone l’accento sugli obblighi del novizio. Egli introduce
un’innovazione, rispetto per esempio alla Regola di S. Benedetto: il novizio
non è responsabile solo della propria anima, ma anche dell’esempio che, con la
propria condotta, dà agli altri. È una riflessione di stampo agostiniano:
“Dando rilievo all’exemplum come
compito del maestro e all’aedificatio
come risultato di esso nella comunità dei cittadini, Ugo riconosce che i nuovi
canonici regolari … si situano sullo spartiacque tra la lettura monastica e la
lettura scolastica” (pp. 78-79). Si tratta di un canonico che deve essere
esempio per la comunità in cui vive[8],
non solo per quella monastica; il binomio tra preghiera e studium (sapere), più tardi si scinderà, allorché la lettura
scolastica diverrà un’occupazione professionale per eruditi.
Si
volta pagina
Alla
metà del XII secolo si “gira pagina”. Il monastero di S. Vittore a Parigi si
apre maggiormente alla comunità attorno, si “defeudalizza”, creando un
parallelismo tra il chierico e il laico, i quali, pur in ruoli differenti, sono
chiamati ad agire in un certo modo perché vivono nello stesso mondo (“Tutta la
natura parla di Dio, tutta la natura ammaestra l’uomo”). La lettura è ancora un’attività
sociale nel monastero, una recitazione continua, un borbottare, qualcosa di
corale, che vive in uno spazio uditivo, sociale. Cinquant’anni dopo Ugo,
invece, la lettura è divenuta un’attività individualizzata: la pagina è
sfogliata in solitudine, diventa bidimensionale, come la mente del lettore. Ugo
si situa a metà strada di questo percorso: la sua esortazione al novizio a
dedicarsi allo studium e a essere un
esempio per chi è fuori dal monastero, condurrà proprio all’affermazione del
dovere universale di impegnarsi singolarmente nello studio.
Il
nuovo clero monopolizza le lettere
Dopo Ugo muta lo status del
clero all’interno della chiesa. Per molto tempo la lettura era quella del
chierico al popolo che ascoltava, intesa come lectio divina; con Ugo essa si
affianca allo studium, come attività
di edificazione di sé che deve avere influenza sui laici. Inizia così il
percorso che farà della lettura un’attività imprescindibile dell’apologetica,
del catechismo, della politica. La lettura diverrà un’attività individuale,
riservata ai pochi chierici che sanno leggere. “Leggere non sarà un ciò che Ugo
aveva in mente: un modo di vivere per persone che sono edificati da lettori
gratuitamente esemplari, non preposti istituzionalmente a tale funzione, e che
perciò essi emulano liberamente” (p. 86).
Più tardi lo stile di vita dei chierici[9]
scolastici si affermò come un modello, come l’ideale della forma laicorum, i quali erano inevitabilmente degli analfabeti,
ammaestrati dai chierici, che sapevano leggere ed erano a loro superiori.
[1]
“Gli occhi designano
la contemplazione. Come infatti vediamo le
cose visibili con gli occhi corporei, così, con
i raggi della contemplazione, ci facciamo un’idea della realtà invisibile”,
cfr. Sermo XXI.
[2] Scrive Ugo nel De
Sacramentis christianae fidei: “Finché l’anima è in peccato, resta come
nella confusione e nelle tenebre. Ma non può liberarsi dalla confusione e
approdare all’ordine e alla forma della giustizia se non è prima illuminata in
modo da vedere i propri mali e discernere la luce dalle tenebre, ossia le virtù
dai vizi, e si disponga all’ordine e alla verità”.
[3] “Questo amore della sapienza è un’illuminazione dell’anima
intelligente ad opera di quella pura Sapienza, e in certo senso un attirarla e
chiamarla a Sé, tanto che la ricerca della sapienza sembra un’amicizia per la
divinità e la sua pura Mente”.
[4] Scrive Ugo nel De tribus
diebus: “Tutto questo mondo sensibile è come scritto dal dito di Dio, cioè
creato dalla potenza divina”.
[5] Scrive Ugo nell’Arca Noe
Morali: “noi, man mano che ci innalziamo da queste profondità, questa valle
di lacrime, attraverso una sicura crescita nella virtù sostenuta da una sempre
maggiore saldezza del cuore, diventiamo a poco a poco più coerenti e raccolti,
finché raggiungiamo quella semplice unità e vera semplicità ed eterna stabilità
che è in Dio”.
[6] Cfr. G. Agamben, Il
fuoco e il racconto, nottetempo, Roma 2014, p. 110: “Ivan Illich ha
mostrato come, già a partire dal secolo XII, una serie di piccoli accorgimenti
tecnici permise ai monaci di immaginare il testo come qualcosa di autonomo
rispetto alla realtà fisica della pagina. Ma la pagina, che deriva
etimologicamente da un termine che designava il tralcio della vite, era ancora
per essi una realtà materiale, nella quale lo sguardo poteva ‘passeggiare’ e
muoversi per raccogliere i caratteri della scrittura come la mano raccoglie i
grappoli d’uva (légere significa in
origine ‘raccogliere’)”.
[7] “Negotia: neg-otium è la negazione dell’otium, della libertà. In questo
contesto, sta a indicare la scelto di uno stile di vita opposto a quello del
monaco, che si dedica (vacat) alla
libertà (otium)” (p. 181).
[8] Scrive
Agostino: “la coscienza e la reputazione sono due cose distinte. La coscienza
vale per te, la reputazione per il tuo prossimo. Chi si affida alla propria
coscienza e trascurasse la reputazione sarebbe senza cuore … Prima di tutto,
sii di esempio con le opere”.
[9] “C’è
una forte associazione tra la nuova istruzione e il celibato del clero secolari
agli inizi del XII secolo … Bisogna attendere la riforma gregoriana del tardo
secolo XI perché i preti vengano messi dinanzi a un’alternativa: mettere alla
porta la concubina o perdere beneficio e mezzi di sussistenza. Entrambe le
opzioni crearono ulteriore distanza tra preti e fedeli, e ne venne favorita la
formazione di comunità ecclesiastiche che non erano più monastiche alla maniera
antica, benedettina. … La chiesa divenne un beneficium,
percepito in quanto corporatio” (p.
186, nota 237).
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