Raccontare il futuro è come lanciare i dadi: un’impresa
molto difficile. Raccontare il futuro senza scadere nella fantascienza da
quattro soldi è un’impresa ancora più ardua. Il premio Nobel Kazuo Ishiguro
invece riesce a immaginare il futuro senza scadere in assurdità. Nel suo
recente Klara e il sole, Einaudi, l’autore racconta sì una società
automatizzata, tecnologizzata, ma non lo fa con tono profetico né apocalittico.
Non vuole né esortare a gettarsi nel futuro né ammonire sui pericoli della
tecnologia: egli intende solo raccontare una storia. Non si erge a profeta e di
questo il lettore non può che essergliene grato. Sarà poi il compito di chi
legge, eventualmente, trarre insegnamenti o impressioni.
La protagonista del romanzo è un robot, anzi,
qualcosa di più affinato, una androide (nel libro si chiama AA), nemmeno delle
più sofisticate (esistono infatti i B3, molto più tecnologici). E già questo
fatto rivela una capacità di scrittura notevole: immergersi nella mente di una androide
e raccontare la storia dal suo punto di vista, è stata un’idea geniale. Anche perché
l’androide in questione, Klara, è stato progettato per essere molto umana. Non fa
niente di speciale, non compie imprese mirabolanti, non è un fenomeno nei
calcoli più astrusi. È stata programmata per fare compagnia ai bambini e
ragazzi. La cosa che questo AA ama è il Sole: ne ha bisogno e lo cerca non
solo, si può ipotizzare, perché funziona grazie a dei pannelli solari, ma anche
perché esso le dona una sorta di energia supplementare, quasi emotiva. E il
fatto che il sole faccia così bene a lei, convince Klara che esso possa fare
del bene a tutti, persino agli esseri umani.
Sin dalle prime pagine, quando si vede Klara esposta
nel negozio in attesa di qualcuno che la possa acquistare, l’androide è
attratto dai volti dei passanti, come se cercasse di carpire loro qualche
segreto. Certo, è stata programmata a comportarsi in questo modo, ma lei sembra
metterci qualcosa di suo, una specie di empatia, qualcosa che nessun robot può
possedere di natura. È questa la prima grande idea dell’autore: creare un
androide assetato di umanità, capace non solo di comprenderla ma anche di
sentirla dentro di sé: “Io, però, più guardavo e più volevo sapere e … mi
sentii prima confusa e poi sempre più affascinata dalle misteriosissime
emozioni che i passanti mostravano di fronte a noi. Mi rendevo conto che se non
fossi riuscita a decifrare almeno alcuni di quei misteri, quando fosse arrivato
il momento non avrei saputo rendermi utile al mio bambino come dovevo. Perciò,
mi misi a caccia – sui marciapiedi, dentro i taxi, tra la folla in attesa sulle
strisce pedonali – di quei comportamenti che avevo bisogno di imparare.” Per questo
Klara osserva i volti delle persone che vede attraverso la vetrina, immaginando
le varie emozioni oppure domandandosi, come le ha detto la direttrice del
negozio: “Chissà se avrei sentito, come aveva detto Direttrice, dolore insieme
alla mia felicità.”
Il romanzo ha uno scatto in avanti quando
Klara viene acquistata da Josie, una ragazzina che si fa vedere più volte davanti
alla vetrina prima di convincere la madre a comprare l’androide. Una volta a
casa di Josie, Klara entra in relazione con diversi personaggi (la Madre, la
domestica, l’amico della sua padrona, Ricky, la mamma di lui e, più tardi, il
padre di Josie e un enigmatico Mr. Capaldi) dai quali ricevere sempre un
trattamento curioso: nessuno si scandalizza del fatto che lei sia un androide
(anche se poi si viene a sapere che nel paese molti odiano gli AA perché rubano
loro il lavoro) e tutti tendono a trattarla come un umano, come qualcosa che fa
parte della loro famiglia. Non c’è uno stacco tra umano e androide, come se
avere un AA in casa fosse un fatto consueto, a volte necessario, in un’epoca in
cui i ragazzi non sono più abituati ai rapporti umani, tanto è vero che
svolgono periodicamente degli incontri di interazione.
La cosa che va rimarcata è che il mondo in
cui questo AA vive non è molto diverso dal nostro: le macchine hanno le ruote
di gomma (non ci sono auto svolazzanti), la gente legge libri di carta, Ricky e
Josie disegnano fumetti su fogli di carta e così via. Ma Ishiguro, come detto,
non scrive un’opera di fantascienza: è interessato ai rapporti tra i
personaggi, a come essi si evolvono, nella convinzione che le emozioni abbiano,
come dire, alcuni codici e forme attraverso i quali si manifestano, siano esse
provate da un’AA o da un umano. E l’amore che sembra esserci tra Ricky e Josie
è un esempio di integrazione tra tecnologia e umanità: i due ragazzini
avvertono questo sentimento acerbo e lo vivono a volte con sofferenza, altre
volte con gioia. Quando per esempio, durante un periodo in cui Josie non sta
bene, lei e Ricky cominciano a fare disegni e fumetti, il clima tra di loro,
all’inizio allegro, a un certo punto sembra deteriorarsi: non c’è un motivo
chiaro, ci sono solo indizi, discorsi sulla madre di Ricky, sul suo futuro.
Klara assiste a questi scambi con attenzione, anche se rispettando la
riservatezza dei due ragazzini. I quali si “lasciano” quasi senza motivo, come
accade quando non si riesce a dare forma in parole a un sentimento, a un’emozione.
Ma Josie è malata, tanto che deve trascorrere
lunghi periodi a letto. Non si sa quale sia la sua malattia: la madre accenna a
un senso di colpa che prova. E, seppure in modo faticoso, il lettore viene a
sapere, ascoltando altresì quello che Ricky racconta alla propria madre, che in
quella società esiste una “procedura” per potenziare i bambini. L’autore non
dice nulla di più, ma fa capire che, in conseguenza di ciò, esiste una sorta di
discriminante tra i bambini potenziati e quelli “normali”, tanto è vero che ci
sono alcuni college che accettano solo bambini potenziati. Non si saprà mai in
cosa consiste questo potenziamento, né come esso venga concretamente attuato. Tuttavia,
né Josie e né Ricky sono stati potenziati: se nel caso del ragazzo questo fatto
provoca delle difficoltà (lui vorrebbe accedere a un’università prestigiosa che
accetta un numero limitato di ragazzi non potenziati), nel caso di Josie questo
fatto sembra abbia provocato conseguenze più gravi. Si intuisce infatti, benché
non lo si comprenda in modo chiaro, che il male della ragazza derivi in qualche
modo da una procedura di potenziamento forse andata male.
Altro non viene detto: non ci sono, nel
romanzo, né medicine, né ospedali né visite mediche. Ogni tanto appare un
dottore a casa di Josie, ma il suo ruolo è marginale. Gli adulti, la madre di
Josie, il padre che appare a un certo punto e Mr. Capaldi sembrano girare a
vuoto, cercando una soluzione che non esiste. Questo Mr. Capaldi sta facendo un
ritratto di Josie, ma Klara scopre che non si tratta di una pittura, bensì di
una specie di statua, anzi, di un androide che dovrebbe sostituire Josie se e
quando ella morirà. E Klara dovrebbe essere reclutata per addestrare l’androide
a comportarsi esattamente come Josie, in modo che i suoi cari non ne sentano
alcuna mancanza. Per questo Klara decide di osservare sempre più attentamente
la sua padroncina, anche perché la madre di Josie glielo chiede in modo
accorato, perché ha già perso una figlia, Sal: “A conti fatti. Ti sto chiedendo
di farlo funzionare. Perché se succede, se capita di nuovo, per me non ci sarà
un altro modo di sopravvivere. Ne sono venuta fuori con Sal, ma non posso
farcela di nuovo. Quindi lo chiedo a te, Klara. Fa’ del tuo meglio per me. Al
negozio mi hanno detto che sei straordinaria. Ti ho osservata abbastanza per
sapere che potrebbe essere vero. Se ti ci metti d’impegno, chissà? Potrebbe
funzionare. E sarò in grado di volerti bene”.
La madre sarà davvero in grado di volere bene a un androide che imita in tutto e per tutto la figlia? È possibile disumanizzare a tal punto i rapporti umani, rendendoli riproducibili? È possibile che tali rapporti siano replicabili da un robot? L’identità umana non è troppo colma di sfaccettature da essere qualcosa di irriducibile a un sistema, per quanto avanzato, composto da circuiti e cose simili? Un software può forse imitare le espressioni umane, ma può davvero sentirle nel profondo, renderle autentiche? È possibile imparare ad amare, odiare e soffrire? Sono queste le domande che forse vengono in mente al lettore, soprattutto quando il padre di Josie chiede a Klara se conosce il cuore umano e se sarà mai in grado di penetrare nel fondo del cuore di Josie: “Il che potrebbe essere difficile, o sbaglio? Una cosa che supera perfino le tue strepitose capacità. Perché un’imitazione non funzionerebbe mai, per quanto sapiente. Dovresti imparare anche il suo cuore, e impararlo appieno, o non diventerai mai Josie a nessun livello che conti”. Il romanzo proseguirà, ma non è giusto svelare il finale. Si può dire che Klara, l’androide, mostra una capacità empatica enorme, perché si prodigherà in tutti i modi per provare a far guarire Josie. Perché Josie vuole continuare ad avere un avvenire, come vuole averlo Ricky, il suo amico, anche se i due pian piano si allontanano, inevitabilmente perché stanno crescendo.
Klara rimarrà la vera protagonista del romanzo, mostrando un carattere molto più marcato dei personaggi umani che la circondano. La sua fiducia nella forza salvifica del sole, che all’inizio appare un po’ ingenua, poco adatta a un androide, si dimostrerà ben riposta. Ma lo sarà perché è appunto una fiducia, una vera e propria “fede”, qualcosa in cui lei crede fermamente pur non avendo evidenze o prove chiare e inconfutabili sulla sua verità. E in ciò Klara si mostrerà assai umana, come anche nel destino che l’attende.
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