martedì 27 marzo 2012
Guido Gozzano: "Totò Merùmeni"
Questa poesia di Guido Gozzano (1883-1916), ispirata a una poesia di Baudelaire, è una delle mie preferite. Perché esce dagli schemi della poesia cosiddetta "crepuscolare", termine riduttivo per questa poetica e ancor più riduttivo per le poesie di Gozzano stesso. Gozzano è stato un poeta a tutto tondo, capace di esprimere un disagio e un senso di angoscia esistenziale presente nella vita culturale italiana dell'inizio '900. È l'alter ego di D'Annunzio, forse, al quale si contrappone con il suo stile in apparenza piano, lineare, e con la sua tendenza a parlare di cose e persone banali e quotidiane ("La Signorina Felicita" è un capolavoro da questo punto di vista).
Un grande poeta che in questa poesia, Totò Merùmeni, dà forse il meglio di sé. Come dice il cognome, Totò è una sorta di "punitore di se stesso", un uomo colto, un letterato, incapace di vivere pienamente la propria vocazione. Perduta la possibilità di essere realmente se stesso, per indolenza, noia o altro, egli vive recluso nella decadente villa familiare, studia distrattamente, scrive poco, aiuta qualche amico analfabeta, gioca da solo con un gatto, un uccellino e una scimmia e ha come amante la cuoca, una ragazza sempliciotta di diciotto anni. Insomma, dopo aver sfiorato la gloria letteraria, dopo aver sognato di amare attrice e principesse, è l'accidioso in chiave moderna che però, grazie alla poesia, forse un giorno rinascerà...
I.
Col suo giardino incolto, le sale vaste, i bei
balconi secentisti guarniti di verzura,
la villa sembra tolta da certi versi miei,
sembra la villa-tipo, del Libro di Lettura...
Pensa migliori giorni la villa triste, pensa
gaie brigate sotto gli alberi centenari,
banchetti illustri nella sala da pranzo immensa
e danze nel salone spoglio da gli antiquari.
Ma dove in altri tempi giungeva Casa Ansaldo,
Casa Rattazzi, Casa d'Azeglio, Casa Oddone,
s'arresta un'automobile fremendo e sobbalzando,
villosi forestieri picchiano la gorgòne.
S'ode un latrato e un passo, si schiude cautamente
la porta... In quel silenzio di chiostro e di caserma
vive Totò Merùmeni con una madre inferma,
una prozia canuta ed uno zio demente.
II.
Totò ha venticinque anni, tempra sdegnosa,
molta cultura e gusto in opere d'inchiostro,
scarso cervello, scarsa morale, spaventosa
chiaroveggenza: è il vero figlio del tempo nostro.
Non ricco, giunta l'ora di "vender parolette"
(il suo Petrarca!...) e farsi baratto o gazzettiere,
Totò scelse l'esilio. E in libertà riflette
ai suoi trascorsi che sarà bello tacere.
Non è cattivo. Manda soccorso di danaro
al povero, all'amico un cesto di primizie;
non è cattivo. A lui ricorre lo scolaro
pel tema, l'emigrante per le commendatizie.
Gelido, consapevole di sé e dei suoi torti,
non è cattivo. È il buono che derideva il Nietzsche
"...in verità derido l'inetto che si dice
buono, perché non ha l'ugne abbastanza forti..."
Dopo lo studio grave, scende in giardino, gioca
coi suoi dolci compagni sull'erba che l'invita;
i suoi compagni sono: una ghiandaia rôca,
un micio, una bertuccia che ha nome Makakita...
III.
La Vita si ritolse tutte le sue promesse.
Egli sognò per anni l'Amore che non venne,
sognò pel suo martirio attrici e principesse
ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne.
Quando la casa dorme, la giovinetta scalza,
fresca come una prugna al gelo mattutino,
giunge nella sua stanza, lo bacia in bocca, balza
su lui che la possiede, beato e resupino...
IV.
Totò non può sentire. Un lento male indomo
inaridì le fonti prime del sentimento;
l'analisi e il sofisma fecero di quest'uomo
ciò che le fiamme fanno d'un edificio al vento.
Ma come le ruine che già seppero il fuoco
esprimono i giaggioli dai bei vividi fiori,
quell'anima riarsa esprime a poco a poco
una fiorita d'esili versi consolatori...
V.
Così Totò Merùmeni, dopo tristi vicende,
quasi è felice. Alterna l'indagine e la rima.
Chiuso in se stesso, medita, s'accresce, esplora, intende
la vita dello Spirito che non intese prima.
Perché la voce è poca, e l'arte prediletta
immensa, perché il Tempo - mentre ch'io parlo! - va,
Totò opra in disparte, sorride, e meglio aspetta.
E vive. Un giorno è nato. Un giorno morirà.
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