martedì 10 aprile 2012

L’affondamento del Titanic il 15 aprile 1912: Prometeo, Epimeteo e l’iceberg



Sono passati cento anni dall’affondamento del Titanic, il transatlantico creduto inaffondabile. Da un secolo, la vicenda non smette di ispirare la fantasia degli artisti e di nutrire l’immaginazione delle persone. Sul Titanic sono stati scritti libri e da quel tragico avvenimento sono stati tratti film, poesie, canzoni. Probabilmente ciò è dovuto al fascino che suscitano tutte le tragedie che colpiscono l’umanità; anzi, quando una tragedia è dovuta, almeno in apparenza, alla fatalità o alla natura, negli esseri umani prevale un sentimento misto verso di essa. All’orrore, infatti, si accompagna un sentimento del sublime che scaturisce dalla visione di uno spettacolo maestoso e terrificante della natura dal quale non siamo minacciati. Esiste, naturalmente e in modo assai più prosaico, anche la curiosità morbosa suscitata da una vicenda che sembra il soggetto di un film thriller.
Dopo cento anni si conosce una verità ufficiale sull’affondamento della nave. E la serie di eventi, spesso casuali e all’apparenza ininfluenti, che hanno portato alla tragedia, trasmette l’idea che ci fosse una sorta di destino già scritto. Sembra ormai assodato che l’affondamento del Titanic non fu causato solo dalla sfortuna, bensì da una serie di errori, leggerezze, iniziative ispirate da presunzione, che determinarono, con una precisione crudelmente perfetta, quella fine. Si pensi al numero ridotto di scialuppe di salvataggio caricate a bordo. Oppure, all’incredibile circostanza per la quale i marinai di vedetta non poterono usare i binocoli (indispensabili in una notte senza luna per vedere un iceberg) perché essi erano chiusi in un armadietto la cui chiave non si trovava a bordo.
Ma perché l’affondamento del Titanic si è impresso tanto a fondo nella memoria collettiva? Sia prima sia dopo di allora (e in tempi recenti) ci sono state altre tragedie del mare. A questa domanda è impossibile rispondere in maniera esauriente e in poche righe. Credo però che una ragione sia legata al valore di “simbolo” mitologico e storico che la vicenda ha presto assunto.
La tragedia del Titanic è stata, infatti, un altro simbolo (uno dei tanti) della “punizione” cui va incontro l’umanità allorché diventa superba e negatrice della propria debolezza. E questo è senza dubbio un aspetto riconducibile alla mitologia greca, seppure in un senso un po’ banalizzante, lo ammetto; in secondo luogo, la vicenda del Titanic è un simbolo storico, perché avviene nel 1912, ossia quasi alla conclusione della Belle Epoque e di un lungo periodo di tranquillità che aveva illuso gli uomini sulla possibilità di vivere un’epoca di pace e prosperità grazie alle scoperte scientifiche e tecnologiche.
L’affondamento del Titanic evoca un’epoca della storia umana, nella quale, ancora una volta, l’uomo è stato “punito” a causa della sua hybris, della sua curiosità e dalla sua inarrestabile volontà di superare i propri limiti. Per questo viene in mente il mito di Prometeo. In realtà, però, è bene ricordare anche i guasti del fratello di costui, Epimeteo, la cui caratteristica principale è quella di compiere azioni avventate, non meditate. La punizione degli dei, se c’è stata, nel caso del Titanic ha colpito solo in parte la superbia dell’uomo, l’incapacità di rispettare i propri limiti, mentre si è diretta soprattutto contro la sua sprovvedutezza, la miopia, la mancanza di prudenza, il suo pensare spesso “dopo” aver agito e non “prima”.
La mitologia è ancor oggi una fonte inesauribile di insegnamenti dal momento che le vicende umane, in maniera inconsapevole, ricalcano sovente storie narrate dal mito. Quest’ultima riflessione ne genera un’altra che sottolinea l’incapacità, direi genetica, dell’uomo di imparare non, come si afferma comunemente, dai propri errori, bensì dal proprio passato, o meglio, da quel passato mitico, atemporale, che permane come cielo delle stelle fisse sullo sfondo oscuro delle nostre piccole esistenze.
Ma esiste anche una simbologia storica. Nel 1912 l’Europa vive gli ultimi riflessi della Belle Epoque; la Prima Guerra Mondiale è imminente ma nessuno, quell’anno, avrebbe potuto prevederla. Gli Stati si spiano minacciosi, sono stretti in patti di alleanza militare contrapposti, costruiscono armamenti sempre più micidiali, ma non osano ancora sfidarsi. Non si rendono conto che, “grazie” alle nuove tecnologie e a un esercito ormai di massa, un conflitto tra di loro sarebbe diventato presto una carneficina immane. La società civile allora ignorava tutto ciò. La tecnologia e la scienza, con i loro ritrovati, sembravano poter garantire un avvenire di prosperità e comodità prima inimmaginabili. La nuova fede nel progresso diventò un mito a sua volta, travalicando considerazioni utilitaristiche e assumendo ben presto un carattere spirituale. Sembrava che l’uomo potesse davvero, finalmente, superare ogni limite grazie alla tecnica e affrancarsi dai mille pericoli e dalle mille sofferenze presenti nella sua esistenza. Per questo la fede nella scienza si colorò di tinte d’arte: si pensi agli espressionisti tedeschi o ai Futuristi in Italia. Il Titanic è concepito, costruito e messo in mare proprio in quest’atmosfera di scellerato entusiasmo per scoperte scientifiche che illusero molti uomini d’allora, e che rinnovavano e ricreavano il mito dell’uomo e della sua immortalità spirituale.
Tornando al Titanic e al suo affondamento, si può asserire che un altro segno della vanagloria dell’uomo è stato senza dubbio l’idea di costruire una nave inaffondabile. In questo caso, oltre alla presunzione, esiste anche una scarsa conoscenza della logica: una nave “inaffondabile” è una contraddizione evidente. Dato che tutto quel che esiste ha una fine, una nave, per sua stessa essenza, è affondabile. Alla fine anch’essa andrà in disarmo o comunque smetterà di navigare. Se l’uomo è mortale, tutto quel che egli costruire è altrettanto immortale; magari durerà secoli, ma prima o poi scomparirà. Se i costruttori del Titanic, invece di essere accecati dalla superba follia di creare qualcosa che andasse al di là dei limiti umani, si fossero guardati allo specchio, forse avrebbero caricato scialuppe di salvataggio sufficienti. Se il capitano della nave fosse stato più accorto, si sarebbe accertato che le vedette avessero i binocoli; oppure, avrebbe ridotto la velocità sapendo che nella zona dove il Titanic navigava nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912 c’erano degli iceberg. Ma il Titanic era creduto inaffondabile: perché, dunque, caricare le scialuppe? Il progettista pensava infatti che troppe scialuppe avrebbero rovinato il bel profilo della nave. E poi la nave possedeva un impianto radio all’avanguardia: perché preoccuparsi? Perché ridurre la velocità?
Come spesso accade, quando l’essere umano si rende conto di aver voluto volare verso il cielo con ali di cera, è tardi. La caduta è inevitabile. Quando il capitano Smith comprese che lo squarcio laterale del Titanic (se la nave avesse sbattuto con la prua contro la montagna di ghiaccio probabilmente non sarebbe affondata) causato dall’iceberg aveva danneggiato cinque compartimenti stagni (il Titanic era ritenuto inaffondabile perché avrebbe potuto galleggiare anche con quattro compartimenti stagni allagati, ma non con cinque), capì subito che il destino della nave era segnato. Ecco l’uomo che pensa soltanto “dopo”. “Dopo” egli si comportò, sembra, con coraggio. Sapeva che le scialuppe non avrebbe consentito di salvare tutti i passeggeri a bordo.
Secondo molte testimonianze, all’inizio il clima a bordo fu surreale: pochi si erano accorti dello squarcio e i membri dell’equipaggio mantennero un atteggiamento british. Il capitano ordinò di calare nelle scialuppe prima le donne e i bambini, separando i padri dai figli, i mariti dalle mogli. Nella confusione, le prime scialuppe vennero calate mezze vuote. Nel frattempo, l’orchestra continuò a suonare, fino alla fine…
Il capitano non abbandonò la nave e, dopo aver dato il “si salvi chi può”, morì assieme ai membri dell’equipaggio e ad altri 1523 passeggeri, sui 2223 imbarcati. La maggior parte dei sopravvissuti era costituita da donne e bambini. I passeggeri di terza classe morirono in gran numero. I sopravvissuti furono soccorsi molte ore dopo da un altro piroscafo, il “Carpathia”, l’unico che avesse raccolto l’SOS e che si trovava a quattro ore di navigazione a sud del Titanic.
L’ultimo evento simbolo di questa tragedia avvenne alle 2.15, quando le luci della nave, ormai mezza affondata, si spensero di colpo tutte assieme. Cinque minuti dopo, alle 2.20 del 15 aprile 1912, poco più di due ore dalla collisione con l’iceberg, la nave inaffondabile colò a picco nell’oceano, dopo essersi spezzata in due, dando vita a una delle più grandi e spettacolari tragedie civili nella storia dell’umanità.

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