martedì 24 aprile 2012

25 aprile. Ieri. E oggi?

È sempre difficile scrivere sul 25 aprile perché esiste il rischio di essere retorici e di celebrare in maniera un po' vuota una ricorrenza di grande spessore per la nostra democrazia. Eppure, nonostante siano passati ben 67 anni e molti partigiani siano scomparsi, questa giornata possiede un fascino notevole. Soprattutto perché non è ancora considerata una data storica da celebrare, bensì come una giornata per così dire ancora "viva", che suscita emozioni e, ahimè, divisioni. Chissà se il 25 aprile diventerà mai una data ritenuta patrimonio della coscienza civile di questo paese, come il 14 luglio in Francia. Forse un giorno succederà: in fondo la celebrazione della presa della Bastiglia in Francia è diventata festa nazionale circa cento anni dopo, mentre le aspre divisioni politiche causate dalla Rivoluzione francese, con il passare del tempo, si sono sopite quasi del tutto. Se in Italia esistesse una destra europea e non, al fondo, fascista nel suo meschino spirito piccolo-borghese (come scriveva Pasolini nel 1974: “L'Italia non è stata mai capace di esprimere una grande Destra. Essa ha potuto esprimere solo quella rozza, ridicola, feroce destra che è il fascismo. In tal senso il neofascismo parlamentare è la fedele continuazione del fascismo tradizionale”), il 25 aprile sarebbe celebrato in modo univoco. Invece non accade così. E, ancor oggi, c'è chi celebra i fascisti di Salò (link), come se partigiani e repubblichini fossero due fazioni belligeranti per il bene dell'Italia. Invece non fu così. Perché se è vero che i partigiani non erano santi e se è vero che qualcuno aderì alla Repubblica Sociale Italiana credendo di fare il bene dell'Italia, rimane ancor più vero che gli uni, i partigiani, combattevano per liberare l'Italia dall'oppressione nazista mentre gli altri, coscienti o meno, combattevano per fare del nostro Paese un'appendice della Germania. La storia raramente divide in modo netto torti e ragioni. Lo sappiamo. E si sa anche che i torti e le ragioni solo di rado possiedono un carattere oggettivo, poiché il giudizio storico non può avere, per sua essenza, l’obiettività di quello scientifico. Perciò è difficile stabilire chi abbia ragione e chi abbia torto tra i protagonisti di un evento storico… Tuttavia la Resistenza è stata senza dubbio un lasso di tempo che ha nobilitato la storia d'Italia, regalando a questo paese un periodo, brevissimo, di lucentezza e di moralità. Qualcosa di raro in un Paese da sempre abituato a trovare escamotage, impegnato nel trasformismo, nell’accordo da piccolo cabotaggio, aduso a celebrare la furberia, l’arte di arrangiarsi e di fregare l'altro. La Resistenza è stato un periodo nel quale molti dovettero compiere delle scelte nette, irrevocabili. Magari chi optò per entrare nella Resistenza era un poco di buono e la sua scelta fu dettata da opportunismo; invece, chi scelse Salò era, in cuor suo, sinceramente convinto di dover combattere contro i nemici della patria. Ma la sostanza non cambia perché gli uni, in fondo, ebbero ragione e gli altri ebbero torto. Mi viene in mente una frase che, credo, appartenga a Vittorio Foa (spero di non sbagliarmi). A un sostenitore del fascismo che gli domandava quale fosse la differenza tra i combattenti di Salò e i partigiani, Foa rispose all’incirca così: “La differenza è questa. Se aveste vinto voi, io, che sono un antifascista, oggi non sarei qui. Invece, la vittoria dei partigiani consente a te oggi, sconfitto il fascismo, di sostenerlo ancora”. Ovverosia, la democrazia è un regime capace di consentire anche ai propri nemici, a chi vuol distruggerla, di dire la propria opinione. Forse da oggi soltanto avvertiremo l’impeto dell’ore a mezzo il nostro secolo volgenti, mentre al vento oscillano le lampade bisbiglia un portico in ombra e tu trasali al rombo degli autocarri che mordono la montagna. (Vittorio Sereni, Soldati a Urbino)

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