La mia sera
Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle.
Nei campi
c'è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie
dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!
Si devono aprire
le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell'aspra bufera,
non resta che un
dolce singulto
nell'umida sera.
È, quella infinita tempesta,
finita in un rivo
canoro.
Dei fulmini fragili
restano
cirri di porpora e d'oro.
O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno
più nera
fu quella che vedo più rosa
nell'ultima sera.
Che voli di rondini intorno!
Che gridi nell'aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula
cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l'ebbero intera.
Né io ... che voli, che gridi,
mia limpida sera!
Don ... Don ... E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra
azzurra ...
Mi sembrano pianti di culla,
che fanno ch'io torni com'era ...
sentivo mia madre ... poi nulla ...
sul far della sera.
Vorrei brevemente ricordare Giovanni
Pascoli (1855-1912), di cui nel 2012 ricorre il centenario della morte.
Spesso si pensa a Pascoli come un autore lontano anni luce dai modi poetici
d’oggi; un autore che appartiene a un’epoca remota, le cui poesie tanti anni fa
s’imparavano a memoria, quando la scuola (forse giustamente) obbligava a farlo.
La lontananza di Pascoli è dovuta alla progressiva perdita di significatività
del verso in rima e dell’osservanza della metrica. La poesia italiana del ‘900
si è progressivamente affrancata dalla necessità di rispettare rigorose regole
compositive, e si può asserire che il ricorso alla rima sia stato assai raro.
In realtà, la musicalità e la tensione poetica oggi spesso si ritrovano nelle
assonanze o in un lessico poetico che ha in sé, nella successione dei lemmi,
una musicalità e un ritmo propri. Tuttavia, l’idea secondo cui il verso libero
sia uno strumento alla portata di tutti per scrivere poesie è sciocca, come è
altrettanto sbagliata la convinzione secondo cui la scrittura in rima sia
sempre figlia di una poetica vecchia, che cade nella filastrocca o nel
recitativo (si pensi al Montale di Ossi
di seppia dove ci sono rime mirabili).
Anche il linguaggio e lo stile di
Pascoli appaiono figli di un’altra epoca, a un’occhiata superficiale. Benché
lontano dalla retorica carducciana (un autore nel quale i temi esistenziali,
forse, a volte sono stati oscurati da una fedeltà eccessiva a formule metriche
classiche) e già diretto verso un linguaggio poetico più sciolto, Pascoli
scrive in un italiano ancora infarcito di termini “difficili” e da forme
poetiche desuete. Non a caso i crepuscolari, in primis Gozzano, contrapporranno
alla retorica della poesia italiana di inizio ‘900, un linguaggio (in
apparenza) piano e colloquiale, e temi poetici (solo in apparenza) banali e
quotidiani. Ma Gozzano conserverà il ricorso alla rima e l’amore per
l’endecasillabo, dimostrandosi influenzato da Pascoli stesso, anche perché il
vero obiettivo polemico della poetica “minimalista” (niente affatto
minimalista, per la verità, se si leggono bene i suoi testi) di Gozzano è Gabriele
D’Annunzio.
In realtà, i temi delle poesie di
Pascoli appartengono anche a noi, alla nostra epoca. Esiste, infatti, nella sua
poesia un senso oscuro dell’esistenza che non sembra offuscato dalla retorica (come
in certi componimenti di Carducci), ma che, anzi, si mostra pienamente, con
limpidezza. L’attenzione alla vita quotidiana, alla piccola esistenza, alle
azioni consuete, alla natura, all’individuo nella sua semplicità (esiste in
Pascoli una “retorica” del fanciullino, ma essa non è tronfia né insincera),
colorano la sua poesia di temi profondamente innovativi che, sebbene in forme
poetiche differenti, influenzeranno di gran lunga la poesia italiana successiva
(a partire dai crepuscolari). Il riferimento alla natura come luogo dove si
svolge l’esistenza degli uomini, l’attenzione ai fenomeni atmosferici
individuati come metafore di qualcosa di elevato e oscuro che non sappiamo
intendere pienamente, sono temi della poesia pascoliana che credo possiedano
ancora un grande valore. E non si dimentichi nemmeno il tono “civile” di alcuni
suoi componimenti.
Pascoli è un autore del proprio
tempo, che scriveva impiegando stilemi poetici usuali al suo tempo; ma egli
seppe andare oltre tali stilemi, affrontando nelle sue poesie temi di spessore
universale. Pascoli ha lasciato un’eredità di spessore alla cultura italiana:
ricordarsi di lui non vuol dire celebrarlo in modo vacuo, ma significa
rileggere i suoi testi, superare la distanza tra i modi poetici d’oggi e quelli
d’allora, e immergersi nella sua poetica, nella sua malinconia, così moderna e
vicina a noi.
giovanni pascoli, uno dei miei poeti preferiti fin dalle elementari.. ma come lui tanti altri, da saffo a tagore e ai qui citati... ma purtroppo, triste a dirlo, la poesia serve alla pubblicità x vendere qualcosa o x l ipocrisia di impietosire...
RispondiEliminama ci sono anche oggi poeti che scrivono anche solo x i posteri, sperando che nel futuro la poesia risorga in tutto il suo slendore. Enrica Miglioli www.enricamiglioli.it enrica_mi@libero.it
condivido in pieno
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