Il
punto un insieme di linee esauste
la
sedia in mezzo alla stanza scoppia di caldo
l’azione
della tua mano è il frutto di un’ombra
spenta
per troppo sole.
Alza
le tende, al mattino, sali sul tetto
e
non scendere più finché
l’odoroso
giorno di giugno
si
annerirà colpevole come te.
Saprai
di non essere quel che appari
comprenderai
quanto sia utile l’illusione
di
sapere rammendare i calzini, i pensieri,
la
tua noiosa identità.
Scendendo
le scale dopo il pranzo
il
petto pesa come fosse di ferro
e
il cuore si smarrisce in extrasistole selvagge
che
tolgono forza alla falsità del tuo ego.
È
tra scoscesi valloni e fiumiciattoli gelidi
che
scoprirai, forse, la vanità di parole e musiche
scritte
al lume di candele rubate ad altri.
È
un augurio per essere finalmente quel che vorrai
ma
tutti sanno che tu non sai nemmeno
qual
è il tuo vero volto, quello dello specchio mattutino,
che
si staglia tra nebbie domestiche
e
dentifrici al sapore di menta artificiale.
O
quello indossato nelle quotidiane conversazioni
con
altri visi butterati da malinconie pallide
mentre
conti le ore che muoiono contro i vetri
che
hanno figure oscene incastonate nella polvere.
In
fondo poi galleggi anche tu nel vacuo mare mefitico
che
ingoia quel che trova davanti a sé.
Restituisce
poi solo relitti di sentimenti e idee
e
non serve a nulla nuotare verso una spiaggia
che
è sempre a un tocco di mano eppure lontanissima
prima
che l’onda, l’ultima, copra benefica
i
tuoi giorni, le nostre notti.
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