venerdì 22 novembre 2013

La poesia e le sue bellezze: due parole su Idillio con cagnolino di Alba Donati



“Le tende sono alte davanti ai cancelli spalancati,
i coperchi delle bare vegliano a fianco degli usci,
i paioli bollono sui focolari all'aperto.
In migliaia, vestiti di nero, riempiono
le strade sterrate. Le ruspe sono al lavoro:
sterminati cimiteri al posto di sterminati pascoli”.

Il pianto sulla distruzione di Beslan è forse il punto più lirico della raccolta di poesie di Alba Donati, Idillio con cagnolino, Fazi Editore 2013. La poetessa, smentendo alcune convinzioni sull’impossibilità per la poesia d’oggi di occuparsi dei fatti della vita, crea struggenti versi per ricordare i bambini morti a Beslan nel settembre 2004. Lo stile del componimento riprende il racconto epico, rifacendosi a un testo russo del XIII secolo, e la commistione tra stile “antico” e fatto di cronaca moderno funziona a meraviglia. Questo significa, tra parentesi, che le strutture poetiche vivono al di là della temporalità, e che la riproposizione di forme all’apparenza “fuori moda” può avere successo se sorretta da una tensione lirica intensa, da una notevole perizia e consapevolezza poetica. Mi viene in mente Pasolini che, ne Le ceneri di Gramsci, impiega la terzina di impronta dantesca in modo mirabile senza anacronismi.
Il pianto sulla distruzione di Beslan possiede un tono epico accorato che non diminuisce né quando l’autrice trasfigura la cronaca rendendola in poesia, né quando i versi sfiorano il tono dell’invettiva politica (“La comunità internazionale tace/.Le questioni petrolifere sono taciute,/i morti seppelliti in terra cecena sfiorano/gli oleodotti e i gasdotti, anch’essi...). La polemica politica e sociale non oscura la viva materia poetica e non impedisce al lettore di rievocare quei fatti terribili con una pietas vivissima; siamo tutti vittime di qualcosa cui non sappiamo dare un nome: il disagio dell’uomo d’oggi, il disagio di ognuno di noi, è espresso da questi versi: “Difficile capire dove sia giustizia dove c’è solo morte/e dolore, e pianto”.
La presenza dei bambini nei versi della poetessa è costante e mai retorica. La realtà viene filtrata attraverso i loro occhi ingenui eppure avidi di conoscere (splendida in questo senso Alberi di Natale venata, mi pare, da reminiscenze pascoliane); intendiamoci: il dolore, il male, il lupo che mangia Cappucetto Rosso, non risparmia i bambini, naturalmente. E le favole non servono per occultare la realtà. Gli occhi dei bimbi vedono il male, ma spesso lo filtrano attraverso la fantasia grazie a una mente ancora in parte vergine, capace di illudersi a fin di bene: “Il lupo soffia una volta, due volte/tre volte – ma inutilmente! - dici tu/come se sapessi cosa significa quel resto/di nulla che è ogni gesto violento/di ogni essere umano che soffia/contro un altro essere umano” (Il lupo). Chissà, magari il lupo stesso è a sua volta una vittima: è violento perché non conosce altra forma di comunicazione, di esistenza. Comprendere questa cosa non significa perdonare nessuno, né negare la responsabilità del violento, bensì andare oltre pregiudizi, luoghi comuni, false paure. L’uomo in sé e per sé è il solo protagonista: come il fuscello di Pascal egli, benché preso nel vortice della tempesta, benché debole, benché sempre sul punto di soccombere, può trovare qualcuno che lo possa salvare, come accade nelle fiabe che sono la rappresentazione fantastica del reale. Se è vero che nel mondo d’oggi la violenza è tremenda, non bisogna scordare che esiste anche l’empatia, il prendersi cura degli altri (il famoso I care di don Milani): “Salire sul palco degli dèi/per fermare gli elementi/per metterlo al riparo/su una piccola seggiola” (Il lupo tremante).
Affidarsi allo sguardo dei bambini, alla loro capacità di arricchire la realtà, inventando un “reale” che appartiene solo a loro, è una fortuna per gli adulti d’oggi. La sensazione di spaesamento è fastidiosa, insinuante. I bambini, che sembrano vivere in una temporalità “altra”, fiabesca, inconsapevolmente poetica, possono regalare la forza ai “grandi”: “La gioia … spinge la luce da dentro/i nostri corpi a uscire fino sopra i nostri visi./Tu con il tuo libro ‘da grande’, io con il mio libro/da grande./Tu con la tua risatina da bambina./Io con la gioia” (Idillio con cagnolino). Il tempo dei bambini diventa allora il nostro, un tempo che non nasconde il male ma cerca di guardare anche oltre questo dolore infinito che impasta di sé l'esistenza: “Avvia tu, mio tesoro,/questo lento, lentissimo tempo/che ci contiene” (Piccola idea chiara).
Nella raccolta i toni malinconici non scadono mai nella nostalgia senza speranza. La malinconia si stempera grazie al legame generazionale salvifico e confortante, che fa crescere nella bellezza di un ricordo destinato a spegnersi ma non a scomparire:

Dormite insieme nello stesso letto
con i vostri ottant’anni di differenza,
del mondo non sappiamo più niente:
non ascoltiamo i telegiornali
né tantomeno compriamo un giornale,
abbiamo scelto il silenzio, l’accadere del giorno,
lo spazio intorno alla nostra casa.

È la prima strofa della splendida e commovente di Notte di San Lorenzo, dove il rapporto generazionale tra nonna e nipote viene raccontato dalla madre. La famiglia diventa un mondo chiuso, un bozzolo che protegge e vivifica: “noi veleggiamo tutta la notte, tu alla ricerca della Strega Malefica/io di te, e tua nonna di te, di me, e del suo primo/amore”. Questi versi sono un appello alla forza dei legami indissolubili che vivifica l’uomo in una famiglia unita, che vive di ritmi antichi, di rituali di cui non si ricorda più l’ideatore, di consigli dati con amore e senza paternalismo: “…come ci sia questo spazio intermedio/tra la vita e la morte in cui si cancella tutto il tempo,/e si stia inermi come neonati nelle braccia di chi ci ha amato” (Fernando).
D’altra parte, i ricordi sono destinati a disperdersi come pezzi di esistenza, come immagini di istanti perduti per sempre. Ma la salvezza esiste. Basta saperla cogliere. A volte, certo, è più difficile, perché quando dobbiamo affidarci solo alla nostra memoria, labile di per sé, non siamo più certi di nulla. Una fotografia smarrita non restituisce più alcunché: cercare di riprodurla in altri luoghi è impossibile, poiché ogni fotografia rende immortale un istante che è unico, che mai prima d’allora c’era stato e che mai più esisterà. È un attimo irripetibile e ci vuole passione e fortuna e attenzione per coglierlo: “Perché c’è una perfezione nell’aria/che qualche volta accade per caso./Qualcuno non la vede e qualcuno la disprezza./Eppure ci sovrasta e accende meraviglie/agli angoli di vecchie fotografie” (C’era una foto).
Ci sono tanti cammei in questo bel libro: le scintillanti poesie dedicate a Cesare Garboli, maestro nobile della poetessa (e che maestro!), nelle quali la gratitudine non conosce le barriere della morte (come scrisse Maria Cvetaeva quando morì Rilke, e come ripete Alba Donati: “Se sei morto la morte non esiste”). Dolcissimo è poi il ricordo di Enzo Siciliano (“non ho mai potuto dirti che prima di conoscerti/ti conoscevo/come succede in casa, tra la pareti domestiche,/con le figlie e le madri”). L’omaggio a queste figure, unitamente a quelle di Luzi, Bigongiari, Pampaloni, Baldacci, Garin, Gadda, diventa l’omaggio verso un’epoca che sembra chiudersi e che ha avuto in Firenze (“Povera città senza mani!”) il simbolo, la sua casa, la sua dimora. Eppure anche qui la poetessa non scade nel lamento senza speranza. Come in altre poesie, il momento della tristezza, l'abbattimento non conclude nulla, ma si accompagna a una speranza che non appare immotivata, né consolatrice, bensì come qualcosa di cui è intrisa, forse, la vita stessa dell’autrice e di tanti di noi. È impossibile citare tutto e la sola cosa che si può dire è che il libro va letto e gustato, con calma, direi assaporato. Per fortuna la poesia è viva, e libri come questo sono “utili” sia per chi legge poesie sia per chi si diletta a scriverle.
Vorrei citare infine per intero questa poesia, che s’intitola Meridiani, la cui terzina finale mi sembra affine a L’infinito di Giacomo Leopardi:

La sera ti guardo dormire:
la bellezza degli occhi meridiani
adesso chiusi e la bocca-parola
che respira dolcemente.

Fuori la notte cittadina fa ruotare gli astri lenti:
Urano il pianeta dei cambiamenti
e Nettuno, piccolo e roccioso,
dove nubi e vento corrono per notti
e giorni spettrali, Nettuno,
che presiede lente metamorfosi
e infine Plutone lontanissimo.

A questa musica identica tra te, il tuo respiro
e il cielo, a questo passo comune
per sterminati spazi, io mi riposo.


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