SALUTI AL RAGNO
Ciao ragno
fedele, l’autunno ti ha inghiottito:
dopo mesi
di compagnia discreta
ci siamo
salutati senza dirci nulla
come fosse
una legge ineluttabile.
Eri
silenzioso e infaticabile:
le tue
ragnatele tocchi d’arte
l’arte
della superba e sventurata Aracne.
La tua
tela sfiorava la parete bianca
leggera
saltellava tra i cadaveri di zanzare
spiaccicati
contro il muro
e
resisteva alla ramazza che a volte
la
distruggeva.
Ma tu non
ne avevi a male:
sei
fatalista, questo l’ho capito,
accettavi
il destino e non fiatavi
aduso da
millenni alla sfortuna
e a
tessere tele all’infinito.
Eri l’amico
fragile:
grazie per
la compagnia notturna
grazie per
il silenzio delle tue passeggiate sulla parete
grazie per
gli insetti trangugiati
o per
quelli avviluppati nella tua tela
e poi
scomparsi nella lupara bianca entomologica.
ELOGIO DELLO ZANZARICIDA
Confesso,
uccido senza rimorso.
Lo so: ci
fosse un tribunale di zanzare
sarei
condannato per genocidio.
Non potrei
nemmeno difendermi
asserendo
che eseguivo gli ordini.
Uccidevo
appostandomi per lunghi minuti,
armeggiando
con sapienza con l’abat-jour,
miscelando
luce e buio per confonderle.
Tendevo
poi l’orecchio e “zac”,
congiungevo
le mani e poi godevo, sì,
godevo nel
vedere la rompipalle schiacciata
e il
sangue, frutto del suo latrocinio,
inzaccherare
i miei palmi.
Oppure,
esausto per il continuo ronzare
nella
tropicale umidità estiva,
menavo
fendenti alle tenebre
finché non
accendevo la luce
e
affrescavo sul muro un giovane fossile di zanzare.
Ora che
l’estate è terminata non condannatemi
penose
imitatrici di Dracula:
a
primavera vi aspetto ancora qui.
MOSCA
Ti ricordi
quella notte che non finiva più:
ero solo
in casa, le zanzare non davano pace.
Ogni volta
che accendevo la luce
tu
riprendevi a ronzare stancamente
come se ti
stessi lamentando
e volessi
dirmi che non ti facevo dormire.
Ma tacevi per
delicatezza.
Sei stata
gentile, sai, a sopportarmi quella notte
piccola
mosca che crepavi di sonno.
Quel tuo
ronzare mi teneva compagnia
appena
accesa la luce
e, al
buio, sapere che tu dormivi
posata
sulla tenda, sul comò o chissà dove
mi
confortava.
Chissà
dove sei finita, t’ho perduta:
qualche
tua amica l’ho anche accoppata
con lo
strofinaccio in cucina,
spero però
non fossi tu…
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