In questo testo, tratto dal
libro del 1957, Il lavoro
culturale (capitolo 6), Luciano
Bianciardi (1922-1971) mette alla berlina l’abitudine, tipica di una certa
figura di intellettuale organico, di perdersi in discussioni infinite su
diversi argomenti senza arrivare ma a decidere alcunché. L’ironia di Bianciardi
è resa più efficace dall’uso del carattere corsivo, adatto per mette in
evidenza quali siano le espressioni più ricorrenti, prive di senso, di questi
dibattiti infiniti; era proprio questo profluvio di parole sterili il principale
difetto del dibattito culturale degli anni ’50, cui Bianciardi aveva
attivamente partecipato a Grosseto. Credo che nell’autore non vi sia affatto
della demagogia, né una svalutazione della discussione pubblica, né una banale
semplificazione della cultura. Egli ritiene invece che siano proprio queste
modalità di discussioni astratte (nelle quali, è detto in funzione antifrastica,
i partecipanti utilizzano l’aggettivo “concreto” ad abundantiam) ad allontanare l’intellettuale dalla
società; la decadenza culturale del nostro paese forse ha origine in questa
verbosità spinta all’eccesso, che rende la cultura ufficiale un mondo a sé, con
un proprio linguaggio oscuro e caratterizzato da riti misteriosi e incomprensibili.
Insomma, un Bianciardi assai lungimirante, la cui preveggenza lo condurrà a
quel gran libro intitolato La vita agra.
Per comodità di chi voglia fruttuosamente dedicarsi al lavoro
culturale, sarà opportuno raccogliere, a questo punto, tutta una serie di
indicazioni circa
il problema del linguaggio.
C’è infatti un lessico, una grammatica, una sintassi e una mimica che il
responsabile del lavoro culturale non può ignorare.
Cominciamo subito, perciò, con il nocciolo della questione, con il
termine problema;
nonostante la differenza
spaziale (alto-basso) dei due verbi il problema si pone
o si solleva,
indifferentemente; ma c’è
una sfumatura di significato, perché “porsi” è oggettiva, cioè sta a dire che
il problema è venuto fuori da sé, mentre “sollevare” è attivo: il
problema, in questo caso, non ci
sarebbe stato se non fosse intervenuto qualcuno a farlo essere.
Quasi sempre il problema, posto o sollevato che sia, è nuovo; e si dà gran merito a chi, accanto agli antichi e non risolti, solleva
problemi nuovi e interessanti o meglio ancora, di
estremo interesse, purché
siano, ovviamente, concreti.
Sul problema si apre
un dibattito.
Dibattito è ogni discorso,
scritto a parlato attorno a un certo argomento un certo problema in cui intervengono
due o più persone. Il dibattito, oltre che concreto e più spesso che
concreto, è ampio e profondo, anzi, approfondito, e quasi sempre
si propone un’analisi (approfondita anch’essa) della situazione. La
giustezza della nostra analisi sarà poi confermata, invariabilmente,
dagli avvenimenti. La situazione è sempre nuova e creatasi (da sé, parrebbe) con o dopo.
Al dibattito gli interventi portano
un utile contributo. Essa può assumere anche la forma di convegno:
in questo caso è parlato, gli interventi sono numerosi, e gli
intervenutì sono giunti da ogni parte d’Italia. Dal dibattito
scaturiscono, oppure emergono o anche, più semplicemente, escono,
alcune indicazioni.
Le indicazioni sono anch’esse
utili. Se possono esprimersi in una breve frase, allora si chiamano parole
d’ordine. Per esempio: Per un / per una (cinema,
teatro, romanzo, arte, cultura, scuola, pittura, scultura, architettura,
poesia) nazionale e popolare. In caso contrario quando cioè le
indicazioni non abbiano questo potere di contrazione espressiva, si parlerà di tutta
una serie di iniziative, utili, naturalmente, e concrete, ma di massima,
suscettibili cioè di elaborazione,
Concreto, come si è visto, è il
problema, il dibattito, l’intervento e l’indicazione. A memoria d’uomo non si è
mai saputo di un problema, dibattito ecc. che si sia potuto definire astratto,
Come non si è mai saputo di un problema risolto; semmai superato, dalla
situazione creatasi con o dopo. A volte poi si è scoperto che il problema, pur
essendo concreto, non esisteva. In casi simili basta affermare che il problema
è un altro.
La scelta dei problemi si chiama problematica
quella dei temi, tematica. Ricordo che una volta, a Firenze,
discussero tre ore su questo problema concreto; se fosse necessario porsi prima
il problema della problematica oppure quello della tematica. Un problema è
anche, spesso, di fondo, Esso si adeguerà alle prospettive, nuove
e concrete, di lotta, per o contro.
Lotta, anzi lotte, è
l’azione quando incontra un ostacolo, altrimenti l’azione è pura e semplice attività.
Ma tanto per le lotte che per l’attività si mobilitano tutte le forze, si
toccano larghi strati, o larghe masse, si estende l’influenza, ci
si pone alla testa e ci si lega anche strettamente. Al
servizio della lotta si pongono le proprie capacità.
A volte le cose non sono così
semplici; ma il dibattito ha appunto l’ufficio di indicare gli inevitabili
difetti, determinati dalla situazione. I difetti consistono quasi sempre
nel non aver sufficientemente utilizzato, elaborato, applicato le
indicazioni emerse da un esame autocritico. Ogni dibattito assolve anche
a questa funzione.
Accanto al problema, ma un po’
più sotto, c’è l’esigenza. L’esigenza si sente, anzi, si è
sentita, A volte sorge, o meglio, è sorta, ed in ambedue i
casi occorre andarle incontro. Problema ed esigenza riguardano a volte i
rapporti con. Con gli intellettuali, per esempio.
Gli
intellettuali possono incontrarsi da soli o accompagnati ad operai e contadini.
In questo secondo caso la successione di rigore è la seguente: operai,
contadini, intellettuali. Gli intellettuali possono essere: illuminati, democratici, avanzati molto vicini a noi,
al servizio della classe operaia; la
serie è in crescendo. Pseudo-intellettuali
sono invece gli altri, quelli che si sono posti al
servizio del padronato, della reazione, del grande capitale,
dell’imperialismo.
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