Ho avuto la fortuna di ricevere
e poi leggere questa silloge di poesie. Mi sono piaciute e ho deciso di
trascriverne alcune, commentandole in maniera istintiva, lasciandomi
trasportare dalle sensazioni che esse mi trasmettevano. Non mi sono permesso
riflessioni tecnico-metriche, che avrebbero richiesto tempo eccessivo e
avrebbero forse “tradito” l’ispirazione genuina, autentica, che muove la mano
della poetessa.
È una poesia “femminile” senza
dubbio, ovvero legata a una intimità raccolta, nella quale abbonda una
passionalità tenue e, morbida. I termini scelti sono spesso legati a sensazioni
di tenerezza, di tranquillità, di una natura che accoglie prima di dare. Ci
sono spesso momenti di liricità pura, nella quale il dato naturale viene
trasfigurato fino ad assumere un significato alto, che si spoglia di ogni
riferimento concreto (“La neve è intorno ai capelli dei vecchi, / nei cigni
dipinti sul filo dell’acqua / tra silenzi inciampati di bimbi: / loro non
sentono il freddo, / il giuoco è tutto l’essere che li divora” da: Inverno). Ci sono momenti di intensa passione che
non vengono raccontati, come succede spesso oggi, con abbondanza di termini
forti, impudichi, ma con un riferimento tenue e indiretto (cfr. Hai
svegliato me). La poesia infatti sgorga,
nelle parole della poetessa, dai punti all’apparenza meno “poetici”, cogliendo
quasi all’improvviso il lettore, il quale però, alla fine, è contento di
leggere questi versi dove le cose non vengono spiegate e dette, ma fatte
intuire con delicatezza. In fondo la poesia deve accendere la luce, ma lasciare
libero di camminare il viandante e il lettore.
IL SEME
Niente avviene per caso,
a ogni passo riscopro una foglia.
Si diramano strade diverse
si fonde il cuore alla linfa,
ma radice aggrappata si nutre di me,
luci e ombre odorano di me.
L’anima fugge
il pensiero con lei.
Solo l’argilla festeggia la pioggia:
proietta nel tempo il seme che sono
e quello che sarò.
La poesia riesce a dire cose che
difficilmente le parole prosaiche sanno comunicare. Non si tratta di un dogma,
bensì di una verità di esperienza nota a ogni artista. I semi del poeta sono
parole che germoglieranno chissà dove.
Ma che importa? La poetessa percepisce se stessa in comunione simbiotica
con la natura: non si immerge in essa, né le attribuisce significati
allegorici. Si limita a sentirsi a fianco a lei, augurandosi che le sue parole,
una volta scritte, non rimangano morti segni sulla carta bianca, ma
fruttifichino, nella testa di chi li leggerà. L’epilogo forse intende proprio
questo: la pioggia impasta l’argilla e crea qualcosa, il terreno fertile
affinché il seme di ciò che la poetessa è e sarà dia frutti, dia ancora, nel
tempo lungo, segni di sé.
L’ASSENZA
Senti come
tutto quaggiù
si trasforma
sotto la neve.
Il tetto
spiovente è scivolo immacolato,
piegata di
peso è la morbida frasca
pare onda
appesa all’aria che gela.
L’azzurro
bagliore mi sfugge
in opaca
crosta di quercia
il fuori
condensa perfino quella carezza.
Pure il mio
restare in questo fermarsi
un istante
biancheggia,
silenzio
degli strumenti.
L’orizzonte
è un altro e io
non arrivo
mai.
Tutto
sparisce
sotto la
neve che copre,
tranne
queste tue rose infuocate
che non so
più guardare dentro,
nel profumo
dell’assenza.
La poetessa coglie l’attimo. È
la cosa più difficile da fare per una artista, eppure, forse, dovrebbe essere
il suo unico scopo. La poetessa in questo componimento attua un processo di
progressiva smaterializzazione della “materia” letteraria. I primi versi
rappresentano oggetti concreti che diventano metafora per i successivi versi
che riproducono situazioni sempre più rarefatte e immateriali. La situazione di
sospensione, di attesa di qualcosa di ignoto è tratteggiata impiegando un
oggetto classico della poesia della dimenticanze e dell’assenza: la neve. Ma la
poetessa non cade in cliché, né ricopia atmosfere pascoliane forse oggi
desuete. Riesce invece a delineare il senso di una mancanza lieve, non
dolorosa; c’è un orizzonte da raggiungere, ma l’atmosfera tenera, la neve che
cade, le impedisce qualunque movimento. E dell’assenza rimane il profumo.
ROSSO
Mi affaccio nel rosso rubino
del rosso.
I battiti silenziosi tendono,
esplodono fuori
dal dentro,
dove lava lavora
incessante
nel sordo suono irrisolto
d’irrequietezza che mi resiste.
Il rosso è un lago di porpora:
imprigiona con la materia
per liberarmi all’abbraccio dell’aria.
E parlo a lui quasi fosse un amore:
gli chiedo di non spegnersi
di non finire il caos del mistero;
gli chiedo di bruciarmi ancora e
ancora il volto
nelle fiamme del suo ardere.
Sì, il rosso è pietra che brilla nascosta
splende nell’organo di vita pulsante
non sa di un gelo che stermina
i fiori e li spezza.
Il rosso ha il gusto della passione
mirtillo e fragola intrisi,
può essere un sogno,
un danzare ondeggiare
di cui neppure ti accorgi.
Questa poesia è accesa di
colori, di passione. L’autrice non cade nella retorica del binomio
“rosso-passione d’amore”. O meglio, credo che accetti tale binomio, ma dandone
un’interpretazione molto personale. Ecco allora che il concetto di amore si
amplia (si leggano alla fine della raccolta le commoventi poesie per i
genitori), fino ad assumere una valenza universale. La poetessa allora racconta
una generale passione per la vita nelle sue diverse forme, operando una specie
di sinestesia lirica: invece di descrivere con lunghe frasi una determinata
sensazione, si limita a mostrarla al lettore. “Vedere” una passione, ascoltare
un colore: in poesia può accadere. È una poesia che accende e chiude la
fantasia.
L’immagine di me
Stringerai un’immagine di me
fra le dita tue spietate,
ma sceglierai?
Il girasole che illumina la via
o la mossa frastagliata multiforme
che appena sottilmente vedi,
al flusso tremolante del pensiero?
È forse solo acqua
la freschezza dentro la tua acqua
che ti riprenderai
o i versi miei stampati fino
all’orgoglioso tuo che ti appartiene?
Sono io stessa così incastrata
nelle mie mappe,
così afferrata dalle infinite penne
che ho gettato gli occhi nelle carte
nell’ora tagliata che soltanto è mia,
l’ora del silenzio
che assomiglia a religione.
Tutto sfugge dalla me che sono stata,
come goccia, come acqua
come biscia dentro l’acqua,
fino a che riprendi la parte che ho più intatta
che fuggita
nel tuo abbraccio si consuma.
La poetessa è “incastrata” nelle
sue mappe. E forse per questo scrive di sé a se stessa, per ritrovarsi,
riconoscersi. La sua volontà di sperimentare diverse forme di espressione, le
dà forse il dubbio di non sapere più chi lei stessa possa essere. Per questo si
aggrappa ai versi che scrive, a quel che dipinge oppure all’immagine di lei che
le altre persone conservano dentro se stesse. Chissà se è giustificata questa
paura di perdersi. E chissà perché spesso questo timore angustia gli artisti.
In tale componimento, però, non c’è paura: i versi si succedono quasi curiosi
di scoprire se quel “me stesso” possieda qualche materialità. Infatti il paragone
con l’acqua che scorre, simbolo estremo di totale transitorietà, quasi conclude
la poesia. “Quasi” perché alla fine c’è un elemento affettivo e umano che, più
di tutti, dona sostanza d’arte a questi versi. È molto bello, a livello
stilistico, l’alternanza tra un verso breve e uno lungo, come a voler dare
un’aria di sospensione e di attesa, che si consuma e scompare nel verso
successivo.
Milano
Eccoti qui Milano di sfinge
con la tua cattedrale che piange,
mi giungi in un bellissimo canto
come usignolo nella nebbia
emerso dal centro:
vivi di voci di grigi incroci,
soltanto tu sui sogni mi voli.
L’ho chiusa nel palmo
la Milano che rincorrevo
frastornante in respiro
mi dice
che sono sussurri
pure le stelle.
Tra insoliti rami di sguardi
di corti segrete di scorci inattesi
scie rosate di abbracci
tu mostri.
Inconsapevole sveli e riveli
anche le fragole che non sai.
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